ANTONIO GALLORO
ORIGINE STORICO-LINGUISTICA
DEI COGNOMI
IERACITANO E CÁLLIPO
STUDIO DI ONOMASTICA CALABRESE
_________ STAMPATO IN PROPRIO__________
SAN NICOLA DA CRISSA (VV), 10 MAGGIO 2010
INTRODUZIONE
Lo studio che riguarda l’origine dei nomi di persona (cognomi) e di luogo (toponimi) è una scienza assai complessa, non soltanto perché alla loro formazione concorrono elementi linguistici eterogenei, appartenenti cioè a diversi ceppi idiomatici, che sono di non facile identificazione ed al cui etimo, quindi, non sempre è possibile risalire, ma anche e soprattutto a causa delle continue modifiche e trasformazioni, che essi sono costretti a subire da parte dell’inesorabile Tempo, che, sulla Terra, durante il suo veloce e violento passaggio, secondo la giusta considerazione del poeta latino Ovidio, divora ogni cosa: Tempus edax rerum (1).
A questi cambiamenti e deterioramenti, a cui l’uomo non può porre rimedio alcuno, in quanto rientrano nel ciclo naturale della precarietà della sua esistenza terrena e sfuggono pertanto al suo diretto controllo, si aggiungono le deformazioni dovute alle inesatte trascrizioni anagrafiche da lui medesimo apportate nel corso dei secoli ed imputabili a sua esclusiva incapacità ed incultura.
È esattamente a causa di queste alterazioni che i cognomi e qualsiasi altra forma di dizione (o parlata) popolare, con il passar degli anni, finiscono per smarrire sempre più la loro identità originaria, per assumere una forma diversa e, poi ancora, un’altra, fino a divenire, alla fine, del tutto irriconoscibili (2).
Viene così a perdersi quella primitiva bellezza esteriore dei cognomi, che costituiscono uno degli elementi fondanti del radicamento di un popolo nel suo territorio, caratterizzandone la cultura, non solo dal punto di vista linguistico, ma anche folclorico.
Infatti, lo studio e la conservazione di una lingua non interessano solo il campo della filologia, ma riguardano anche altre scienze sociali, come l’etnologia e l’antropologia, in quanto rappresentano dei fattori assai utili per la ricostruzione del patrimonio culturale di una comunità e per il recupero di tutti quei suoi antichi valori e tradizioni, che lo distinguono da tutte le altre organizzazioni comunitarie.
È importante che un popolo, fra le tante sane usanze ereditate dai suoi avi, sappia conservare, nella sua primordiale purezza, anche la propria lingua e si adoperi al massimo per preservarla dalla corruzione del Tempo e dalle frivole mode della civiltà moderna.
Ciò gli consentirà, infatti, di mantenere sempre viva la sacra memoria dei padri, dal cui luminoso esempio di vita dovrà sempre lasciarsi guidare, soprattutto nel difficile compito di formazione umana delle nuove generazioni.
Attenti ed autorevoli linguisti, da sempre -ma i loro maggiori sforzi in materia si sono particolarmente concentrati in quest’ultimo secolo-, con tutte le difficoltà che una simile complicata operazione ha comportato e continua ancora ad implicare, hanno cercato di risalire all’origine dei cognomi, e di ricostruirne la struttura etimologica della parola o delle parole che li compongono.
CAPITOLO PRIMO
CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
DI ALCUNI COGNOMI CALABRESI
I cognomi, sulla base della loro diversa tipologia e provenienza, possono così classificarsi:
1)-cognomi, che riproducono il nome di una città o di un paese, come Catanzaro, Cosenza, Monteleone, Monterosso, Nicotera, Reggio, Serra, Sinòpoli, Tropea, Vallelonga, ecc.;
2)-cognomi di chiara origine greca, che si riferiscono alla professione o al mestiere esercitati da qualche antenato, come Barillaro (“fabbricatore di barili”) e la sua variazione Bari(l)là, Bottaro, Foderaro, Pignataro, Saccaro, Sirianni (“signor Gianni”), ecc.;
3)-cognomi, che risultano composti da un verbo seguìto da un sostantivo, come Ammazzagatti, Bevilacqua, Bevivino, Frangipane, Passalacqua, Scardamaglia (o Scordamaglia), Vasapollo, ecc.;
4)-cognomi, che ricalcano un antico soprannome, che, a sua volta, può essere di genere scherzoso o ingiurioso, attribuito a qualche progenitore, come Boccafurni, Caparrotta, Capomolla, Cipolla, Lucibello (“fuoco bello”), Lupo, Malafarina, Malaspina, Malatacca, Malatesta, Malavenda, Malerba, Merlo (riprendendo il nome di un uccello), Mezzatesta, Porcello, Quercia, Quattrocchi, Quattromani, Radice, Trentacapilli, ecc.;
5)-cognomi, che possono essere nati da una formula di augurio, come Bencivinni (o Bencivenni), o che contengono un nome divino, per assicurare la protezione della divinità a chi lo porta -per questo detti “teofori”-, come Amaddeo, Diodato, Dioguardi, Dionesalvi, Donodidio, Laudadeo, Nusdeo, ecc;
6)-cognomi, che denotano l’appartenenza ad un luogo e ne rivelano l’origine, meglio conosciuti con l’appellativo di “ etnici”, che, dal punto di vista linguistico, possono essere benissimo paragonabili a dei veri e propri aggettivi di provenienza.
Questi, a loro volta, appartengono a diverse categorie:
a)-possono finire in “-ò”, come Calabrò (“nativo della Calabria ” o “proveniente dalla Calabria”), Grecò (“nativo della Grecia”), Messinò (“nativo di Messina”), Romanò (“nativo di Roma”), ecc.;
b)-possono terminare in “-èo”, come Catanèo (“nativo di Catania”), Messinèo (“nativo di Messina”), Romèo (“nativo di Roma”), ecc.;
c)-possono avere la desinenza “-ìti”, come Caminiìti (“nativo di Camini”, un comune posto in provincia di Reggio Calabria), Catanzarìti (“nativo di Catanzaro”), Mammolìti (nativo di “Mammola”), Messinìti (“nativo di Messina”), Romìti (“nativo di Roma”), Scopellìti (“nativo di Scopello”, frazione di Castellammare del Golfo, in provincia di Trapani), Tavernìti (“nativo di Taverna”), ecc.;
d)-possono contenere il suffisso “òti” ed indicare una pluralità di soggetti, come Chiaravallòti (“nativi di Chiaravalle C.le”), Geraciòti (“nativi di Gerace”), Liparòti (“nativi delle isole Lipari”), Seminaròti (“nativi di Seminara”), Squillaciòti (“nativi di Squillace”), ecc.;
e)-possono finire, infine, in “-ano”, come Amalfitano (“nativo di Amalfi”); Catalano (“nativo della Catalogna”, regione della Spagna: non si dimentichi, infatti, che la Calabria, tra le altre, ha dovuto anche subire la fosca dominazione spagnola per più di due secoli, più precisamente dal 1503 al 1734; Geracitano (“nativo di Gerace”), presente anche nella forma Ieracitano (o Jeracitano), derivante dal termine dialettale Jeraci, con cui Gerace, città del versante ionico reggino, è stata da sempre volgarmente detta; Locritano (“nativo di Locri”); Napolitano (“nativo di Napoli”); Pisano (“nativo di Pisa”); Provenzano (nello stesso significato di Provenzale), “nativo della Provenza”, regione della Francia sud-orientale; Reggitano (“nativo di Reggio”); Stil(l)itàno (o Stelitano) (“nativo di Stilo”); Tarsitano (“nativo di Tarsia”); Tropeano (“nativo di Tropea”), ecc.;
f)-possono terminare in altro svariato modo, come, ad esempio, Albanese (“nativo dell’Albania”), Cosentino (“nativo di Cosenza”), Pugliese (nativo della Puglia”), Turco (“nativo della Turchia”), ecc.
In questo contesto, è opportuno specificare come dal termine Reggitano (“nativo di Reggio”) sia derivato il cognome abbreviato Reitano, non dimenticando che di quest’ultima forma esiste un’altra variante, che è quella di Rijitano. Ciò è dovuto al fatto che le popolazioni grecaniche, che abitano prevalentemente la parte ionica della regione, posta a sud della Stretta o Istmo di Catanzaro, per indicare la città di Reggio, adoperano ancora oggi il termine “Riji”(3).
Il termine Rijitano, nel tempo, è diventato Jiritano -ed anche Jeritano- ed i linguisti ne attribuiscono il cambiamento al processo di “trasposizione”, che consiste nello scambio di posizione di gruppi di lettere alfabetiche, in questo specifico caso di “Ri” ed “ji”;
7)-cognomi posti al plurale e nella forma latinizzata in “-is”, perché formatisi in pieno Umanesimo, cioè nel corso di quel fiorente movimento culturale, che si è sviluppato in Italia dalla metà del Trecento fino a tutto il Quattrocento.
Essi derivano dall’antico nome della casata di appartenenza, che era quasi sempre illustre e socialmente ben distinta, come De Agostinis (“appartenente alla famiglia degli Agostini”), De Angelis (“appartenente alla famiglia degli Angeli”), De Benedettis (“appartenente alla famiglia dei Benedetti”), De Bonis (“appartenente alla famiglia dei Buoni”), De Dominicis (“appartenente alla famiglia dei Domenici”), De Filippis (“appartenente alla famiglia dei Filippi”), De Magistris (“appartenente alla famiglia dei Maestri”), De Sanctis (o De Santis) (“appartenente alla famiglia dei Santi”), De Vincentiis (“appartenente alla famiglia dei Vincenzi”), De Giudicibus (o Judicibus)(“appartenente alla famiglia dei Giudici”), ecc.;
8)-cognomi, che indicano qualità o difetti fisici e morali, come Acerbo, Capoalbo (“capo bianco”) (anche nelle varianti Capalbo e, più comunemente, Capialbi), Caporaso, Caputo, Gagliardi (denominazione,
questa, di origine francese), Occhiuto, ecc.
Molti di essi sono di origine greca, come Condò (“corto”, “basso di statura”), Nisticò (digiuno”), Rodinò (“rosso”), Sgrò (derivante, a sua volta, per la perdita della vocale “u”, da Sgurò) (ricciuto”), Spanò (“sbarbato”), Traclò (“curvo”), ecc.;
9)-altri cognomi, pure essi di fonte greca, molto diffusi nella parte grecanica della Calabria, come Calògero (“monaco”), Caridi (“noce”), Crèa (”carne”) ed il suo composto Cuzzocrea (“carne mozza”), Crisàfi (”oro”), Crupi (“vaso rotto”), Falcomatà, Gregorace(i), Gullace(i), Lico (“lupo”), Nicolace(i), Scordo (“aglio”), Tripodi (“treppiedi”), ecc.;
10)-cognomi di non sempre chiara origine greca, aventi la desinenza in “-ari” e caratterizzati dall’accento sdrucciolo, cadente sulla terzultima sillaba, come Cùgliari, Cùppari, Mùccari, Mùssari, Scùllari, Sìclari, ecc. ;
11)-cognomi di origine francese, come Angelieri, Berlingieri, Borello, Brancia, Bucceri, Contestabile, Ferreri, Gagliardi (ricordato sopra), Gualtieri, Guarino, Isnardi, Malgeri Scuteri, Toraldo, Zavettieri, ecc.;
12)-cognomi di origine germanica, ereditati dai Normanni e dai Longobardi, antichi conquistatori e dominatori della Calabria, come Adilardo(i), Arnaldo, Bernardo, Gismondo, Lamberti, Landolfo, ecc.;
13)-cognomi arabi, molto diffusi anche in Sicilia, rimasta per lungo tempo sotto il dominio dei Seguaci di Maometto, come Am(m)irà (“generale”) Baracca (=”mugnaio”), Bosurgi (“grande”), Cangemi (=”applicatore di mignatte” o “sanguisughe”), Còrapi (“corvo”), Fàzzari (“fabbricante di stuoie”), Garufo (“crudele”), Macaluso (“liberato”), Mamone (“fortunato”), Modàfferi (“vittorioso”), Moràbito (“eremita”), Nesci (“giovane”), Rechichi (“schiavo”), ecc.;
14)-cognomi di origine albanese, come Bellusci(o), Chidíchimo, Dorsa, Frega, Guarasci(o), Perri, Schipani, ecc.;
15)-cognomi di origine spagnola, come Alvaro, Blasco, Còrdova, De Mendoza, De Sàlazar, Martines, Ramìrez, ecc., anch’essi retaggio della sopra ricordata dominazione ispanica nella nostra amata, ma molto sfortunata, regione (4).
CAPITOLO SECONDO
BREVI NOTE DI COMMENTO
ALLA CLASSIFICAZIONE DEI COGNOMI
È bene sottolineare, sin da subito, come questa nostra breve classificazione tipologica di alcuni cognomi calabresi non voglia avere alcuna pretesa di esaustività, ben riconoscendo che un simile suggestivo ed interessante -ma pur sempre complesso- argomento, per potersi definire completo o quasi, avrebbe certamente richiesto, da parte nostra, e meritato ulteriori approfondimenti tematici.
Abbiamo ritenuto opportuno, invece, non apportarli -ammesso che avessimo avuto la competenza professionale richiesta per farlo-, limitandoci a svolgere una descrizione generica del tema prescelto ed effettuare una fugace disamina di alcune categorie di cognomi o generi onomastici presenti nella nostra regione, prediligendo quelli che ci sono parsi più rilevanti, significativi e frequenti.
In tal modo, abbiamo inteso ubbidire rigorosamente a dei ben precisi limiti di spazio, impostici ab origine, volti a non tediare oltre modo i nostri cortesi lettori ed, in maniera particolare, i destinatari di questa nostra modesta fatica.
Del resto, la nutrita bibliografia, posta alla fine del lavoro, non è casuale, né ha alcun valore puramente ornamentale, ma svolge, invece, una sua ben specifica fondamentale funzione, perché, oltre ad indicare ai lettori, attraverso i loro autori, i testi specialistici da noi consultati e da cui sono state tratte le notizie fornite, per verificare, all’occorrenza, l’autenticità e la veridicità di quanto affermato, sa anche essere, nel contempo, un’illuminante guida per quanti, tra di loro, vogliano, motu proprio, continuare ed investigare più dettagliatamente l’argomento trattato, per avere su di esso maggiori informazioni.
CAPITOLO TERZO
LA PERDITA DELL’IDENTITÀ STORICO-GEOGRAFICA DEI
COGNOMI NELLA SOCIETÀ MODERNA
Alcuni di questi cognomi, specie quelli di tipo “etnico”, sono in grado di rivelare, a colpo d’occhio, l’esatto luogo di provenienza di coloro che li portano, perché contengono in sé alcuni inequivocabili elementi di geografia onomastica calabrese, che non possono sfuggire all’attenzione di chi ha una certa dimestichezza con questa disciplina, consentendogli così di individuare i loro veri luoghi di appartenenza, anche se rinvenuti in posti lontani da quelli di origine.
Se, dunque, è possibile collocare taluni di essi in una precisa dimensione spaziale regionale, per tutti gli altri, al contrario, non si riesce a definire l’ambito territoriale in cui si sono generati.
Tanta difficoltà deriva dai frequenti matrimoni, che si contraggono in luoghi diversi da quelli di nascita, e, soprattutto, dall’incessante fenomeno migratorio, a cui l’uomo, ab immemorabili, per ragioni varie, quasi sempre legate alla ricerca di un dignitoso lavoro e di migliori condizioni di vita per sé e per la sua famiglia, è costretto a sottoporsi e che lo costringe a spostarsi da una parte all’altra della superficie terrestre e ad insediarsi, talvolta, persino in un luogo posto agli antipodi rispetto a quello in cui ha avuto i natali.
Questo continuo spostamento di persone, qualunque sia il suo movente, causa inevitabilmente, nei cognomi, una rivoluzione geografica così violenta da determinare la perdita totale della loro primitiva identità territoriale e della loro tipicità storico-linguistica locale. Non diversamente da altre importanti scienze, che sono costrette a sottostare alle trasformazioni dettate dalla civiltà moderna che continuamente muta, anche la geografia onomastica, che per lunghi millenni è stata una delle specificità fondamentali di una ben determinata zona, si trova oggi in una condizione di totale sconvolgimento e ciò a causa del fatto che, come acutamente sottolineato dal linguista C. Battisti, «i cognomi si spostano costantemente» dal loro luogo d’origine e si diffondono a dismisura nel mondo (5).
Riconosciamo di esserci soffermati un po’ troppo nella classificazione dei cognomi presi in esame e nel tentativo di mettere in risalto soltanto alcuni degli effetti sociali negativi, cui sta andando incontro l’onomastica calabrese -come, del resto, quella di qualsiasi altra regione del mondo-, per via della sua continua migrazione, diretta conseguenza del frequente spostamento delle persone sulla superficie terrestre, e di questo chiediamo venia ai nostri cortesi lettori.
Benché tale indugio ci abbia costretto a rinviare di poco la trattazione dell’argomento principe prefissatoci, che è quello di analizzare l’origine storico-linguistica dei cognomi IERACITANO e CÁLLIPO, siamo, tuttavia, fermamente convinti della grande utilità di tali divagazioni, che consideriamo tutt’altro che secondarie e dispersive.
Abbiamo inteso fornirle, invero, perché fermamente convinti del fatto
che un’esposizione, seppure sommaria, dei principali criteri filologici e linguistici che regolano l’intricato settore dell’onomastica della nostra regione ed una breve analisi geo-storica dei fenomeni sociali a questo connessi costituiscono gli strumenti indispensabili, perché gli stessi destinatari della presente ricerca possano più agevolmente accostarsi ad essa e comprenderne anche gli intimi sviluppi.
CAPITOLO QUARTO
L’ORIGINE STORICO-LINGUISTICA DEL COGNOME
IERACITANO
È giunto adesso, dunque, il momento di entrare in medias res, cioè nel vivo del nostro argomento principale.
Di tutti i tipi di cognomi sopra elencati, è nostro vivo desiderio, in questa sede, soffermare l’attenzione su quelli definiti “etnici” ed, al loro interno, concentrarci specialmente su quelli che terminano con la desinenza “-ano”(6).
Essi sono di origine greca e riguardano, in modo particolare, la parte grecanica della Calabria.
Il cognome Ieracitano (o Jeracitano), volendo risalire alla sua etimologia, attraverso l’individuazione dei due elementi morfologici che lo compongono (il toponimo Ieraci + il suffisso “-ano”) ed il significato da essi espresso, significa letteralmente “nativo di Jerace” oppure “proveniente da Jerace” (7).
Tenendo, poi, in considerazione che, nella parlata dialettale reggina, con la denominazione Jeraci si è sempre voluto indicare la città ionica di Gerace, ne consegue, per logica, che il nome Ieracitano (o Jeracitano) non è altro che la forma volgare calabrese di quella più italianizzata Geracitano e che i due termini sono, quindi, dei perfettisinonimi, come ben riconosce più volte G. Rohlfs(8).
Va sottolineato come la trasformazione del gruppo consonantico “Ge” in “Je” non avvenga solo nella parlata reggina, ma anche in quella di tutta la Calabria centro-meridionale, come dimostra, fra i tanti esempi che si potrebbero addurre a tal proposito, la dizione Jerocarni, per indicare la località di Gerocarne, comune posto in provincia di Vibo Valentia (9).
La voce Jeraci, infine, deriva dal vocabolo greco hierakí-skos (“falchetto”, “piccolo sparviero”), che è, a sua volta, la forma diminutiva del classico hierax-akos (“falco”, “sparviero”, “nibbio”) (10).
Il nome è di indubbia origine greca, perché, come osserva acutamente il Rohlfs, tutti i toponimi ed i cognomi italiani che terminano in “-aci” e “-ace” rivelano, in questa loro caratteristica desidenza, la propria antica grecità (11).
L’eminente glottologo tedesco, il Rohlfs appunto, continuando il suo discorso su Gerace-Jeraci-hieraki, dopo averci ricordato che l’attuale stemma della città calabrese ionica è costituito dall’immagine di un
falchetto, rappresentato con le ali spiegate, molto probabilmente a ricordo delle antiche monete della vicina, ma di gran lunga più antica e famosa, colonia greca di Locri, dai cui profughi è stata fondata tra la fine del secolo X e gli inizi del IX av. Cr., non trascura di sottolineare che la voce toponimica Hierakos, che è la forma del genitivo di hierax, è esattamente «il nome che si dà alla città (di Gerace) nei documenti medievali» (12).
Alla ricerca della remota origine e diffusione del cognome Ieracitàno nella Calabria dei secoli trascorsi, siamo andati ad indagare, oltre che nell’indice onomastico di ragguardevoli testi d’altri tempi, anche e soprattutto in preziose raccolte di antichi documenti d’archivio, costituiti da diplomi, bolle, atti notarili di donazione e di diverso altro genere e carte varie, quali, ad esempio, il Syllabus graecarum membranarum di F. Trinchera, il Regesto Vaticano per la Calabria di F. Russo e la Grande Platea della Certosa di Santo Stefano del Bosco, meglio conosciuta oggi con il nome di Certosa di Serra San Bruno, che è stata recentemente sottoposta ad attento esame da parte di alcuni valenti studiosi (13).
Ecco i risultati della nostra investigazione.
Cominciamo col dire che il Syllabus del Trinchera, paleografo napoletano, raccoglie delle interessanti pergamene, tutte redatte in lingua greca, da lui pazientemente raccolte in anni di duro lavoro, che appartengono ai secoli IX-XV. Esse provengono, oltre che dalle Abbazie della SS. Trinità di Cava dei Tirreni e di Montecassino, dalla Biblioteca ed Archivio Nazionale di Napoli e dall’Archivio della Curia Vescovile di Nardò (Lecce), anche dall’allora soppresso Monastero di Santo Stefano e San Brunone del Bosco.
Questo Codex è una fonte preziosa di erudizione storico-geografica per tutto il Meridione d’Italia.
Esso, infatti, contiene molte notizie sicure sull’effettiva condizione socio-economica in cui era costretta a vivere la popolazione calabrese nell’assai difficile età medievale, ma, soprattutto, per quel che attiene al nostro studio, costituisce una rara e preziosa miniera di informazioni onomastiche e toponomastiche, che ci consentono di conoscere oggi i nomi di persone e di località esistenti nella nostra regione in quei secoli bui.
Tra tutti i documenti del Corpus, quelli che riguardano la Calabria sono in totale n. 165 e, di questi, ben 9 interessano la città di Stilo e 6 quella di Gerace (14).
La loro lettura e le notizie da essi tratte, pertanto, si sono rivelate assai utili per la realizzazione di questa ricerca.
Nella pergamena n. XVII (p. 559), che riproduce fedelmente l’atto
n. 194 dell’Archivio Nazionale di Napoli, è riportato l’”Indice degli uomini del Monastero di S. Leonzio (o Leonte)” (Index alter hominum monasterii S. Leontii).
La presenza dell’aggettivo indefinito “alter” (“altro”) nell’intestazione dell’atto rivela chiaramente l’esistenza di un precedente analogo elenco, riportato nel documento n. XVI (pp. 557-559)dello stesso Syllabus (15).
Abbiamo voluto inserire il documento relativo alla pergamena n. XVII, così come tutti gli altri che costituiscono le fonti archivistiche primarie di questo studio, in fotocopia, nella sezione “Appendici: Documenti d’Archivio”, che chiude il presente lavoro, perché i cortesi lettori, ove dovessero ritenerlo necessario, ne possano prendere diretta visione e dare agli stessi una lettura del tutto personale.
Per facilitare la comprensione dell’ambiente socio-economico di cui stiamo argomentando, è necessario fornire, preliminarmente, un fondamentale dettaglio storico-geografico: l’antico Monastero di S. Leonzio (o Leonte), oggi scomparso, si trovava nei pressi della città di Stilo, dove sorge attualmente l’omonimo borgo, che è frazione del comune di Camini (RC) (16).
Tra i “villani sancti Leontii”, menzionati nella suddetta pergamena, figurano ben quattro persone che portano il cognome Ieracitano: Ursus (Orso) Hieracitanus, un altro Ursus Hieracitanus (probabilmente consanguineo del primo), Philippus (Filippo) Hieracitanus e Nicolaus (Nicola) Hieracitanus (17).
Nell’espressione tardo latina villani monasterii sancti Leontii, che appare come intestazione del paragrafo in cui vengono menzionati i quattro Ieracitano, ad integrazione dello stesso titolo del documento di cui fa parte, il genitivo monasterii sancti Leontii potrebbe indurre un qualsiasi lettore sprovveduto della materia a formulare un’interpretazione assai diversa da quella che è, invece, la realtà. Esso, infatti, potrebbe essere scambiato per una semplice indicazione topografica e letto come un normale genitivo locativo, nel significato di villani qui vivebant apud monasterium sancti Leontii: comuni abitanti Noi crediamo, invece, che sia più giusto considerarlo come un vero e proprio genitivo di possesso o di appartenenza, per il quale occorre fornire una spiegazione del tutto opposta alla prima.
di campagna o contadini, dunque, -come lascia bene intendere il termine “villani”, riferito al contesto sociale medievale di riferimento-, i quali dimoravano nel borgo rurale di S. Leonzio, che era situato proprio nei pressi dell’omonimo Monastero, da cui dipendeva. Siamo in presenza di un’intera comunità, quella leontina appunto, che viveva nella dura condizione di totale sottomissione o vassallaggio feudale (“servi della gleba”) nei confronti del Cenobio, a beneficio del quale era tenuto ad assolvere dei ben precisi doveri, dei pesanti obblighi, che potevano andare dalla prestazione gratuita di giornate di lavoro, dette angarìe o corvées, al pagamento di imposte o tributi, il tutto secondo un’antica ed assai frequente consuetudine, alla quale, in quella tristissima epoca, la povera ed indifesa gente era sottoposta, sia da parte del potere civile che religioso.
Dal momento che sappiamo per certo che i Certosini serresi possedevano, tra le loro numerose proprietà agricole, anche l’estesa Grangia di S. Leonzio, dall’eccellente suolo per la produzione di grano, vino e foglie di gelsi (18),
non è difficile pensare che esercitassero pure un valido diritto feudale non solo sul monastero, ma addirittura sugli stessi suoi villani.
A confermarci ciò è proprio F. Mosino, che, in un suo minuzioso studio, volto a raccogliere i materiali onomastici presenti nella Grande Platea della Certosa di S. Stefano del Bosco, di cui si dirà meglio in seguito, menziona i quattro Ieracitano sopra ricordati, come vassalli della Casa di S. Bruno, in tutta la significazione feudale del termine (19).
Dall’analisi onomastica dei villani menzionati, scaturisce, comunque, un dato certo ed inequivocabile: i quattro individui, che portavano il cognome Hieracitanus, costituivano, quasi certamente, il nucleo familiare o parafamiliare più consistente dell’intero ristretto raggruppamento sociale di S. Leonzio, che dipendeva giuridicamente da quel Convento. Ciò sta a significare che i Ieracitano appartenevano ad un gruppo di persone, legate tra di loro da stretti vincoli parentali, così numeroso da costituire una vera forza nell’ambito sociale in cui viveva ed operava, capace di imporre agli altri appartenenti alla comunità leontina la propria autorità e di pretendere dagli stessi, in virtù di ciò, il massimo rispetto.
Non conosciamo, purtroppo, l’anno in cui è stato redatto il documento ed a cui si riferisce l’evento socio-economico in esso descritto, ma, come già detto sopra, trattandosi di pergamene che riguardano i secoli IX-XV (la prima, riprodotta a p. 1, reca, infatti, la data “Anno Christi 885-Mense Martio” e l’ultima, che troviamo a p. 537, quella “[Anno Christi] 1450-Mense Iulio”), possiamo benissimo ritenere che i fatti narrati risalgano al periodo storico del Basso Medioevo, compreso tra il 1200 ed il 1300 (20).
Per quanto attiene al cognome Ieracitano, la seconda delle tre raccolte di documenti antichi sopra annunciate, vale a dire il Regesto Vaticano per la Calabria (21), compilato da Francesco Russo, prende in considerazione ben cinque eventi, appartenenti ad ambito religioso, ma abbastanza interessanti, sebbene accaduti in tempi più recenti rispetto al caso appena esaminato.
Seguendo un ordine cronologico, riportiamo ora integralmente, così come lo abbiamo rinvenuto trascritto, il sunto del primo atto: «15 marzo 1570 : Gian Goffredo Ieracitano, incarcerato per il mancato versamento del fitto della Badia di San Giovanni (Theristi di Stilo [ricco e prospero monastero basiliano: n.d.a.]), scrive al Card. Sirleto che la sua lettera al Card. Carafa non è stata efficace e lo prega di voler ancora intercedere per lui, non essendo nella possibilità di pagare. “Dalle carcere (sic!) de Stilo li XV de Marzo 1570» (22).
Il contenuto del testo è abbastanza chiaro ed eloquente e, pertanto, non ha bisogno di nostre ulteriori note di commento.
Tuttavia, riteniamo che sia opportuno fornire qualche chiarimento a proposito dei due alti porporati menzionati: il primo, al quale il religioso Gian Goffredo Ieracitano si è rivolto per essere aiutato, era l’illustre cardinale Guglielmo Sirleto, nativo di Guardavalle (CZ), grande artefice del Concilio di Trento (1545-1563), Prefetto della Biblioteca Vaticana ed uno degli uomini di Chiesa più eruditi del suo tempo, tanto che nella Curia pontificia romana era conosciuto con l’appellativo di “dottissimo Calabrese” (23).
L’altro principe della Chiesa, presso cui il Sirleto doveva intervenire a favore di Gian Goffredo Ieracitano, era il cardinale Antonio Carafa, appartenente ad una delle più nobili famiglie napoletane, nominato cardinale nel 1568, bibliotecario alla Vaticana e dotto ellenista, discendente di Gian Pietro Carafa, divenuto papa con il nome di Paolo IV (24).
Molto probabilmente -almeno questo sembra dedursi dalla lettura delle carte- il cardinale Carafa ricopriva la carica, assegnatagli dalla Curia Vaticana, di Controllore delle Chiese di Calabria, delle loro rendite e dei relativi tributi dovute alla Chiesa di Roma, secondo le prescrizioni del Concilio Tridentino.
Un ruolo molto importante, in questo delicato e gravoso settore doveva svolgerlo il cardinale Sirleto, altrimenti non sapremmo spiegarci come mai erano costretti a rivolgersi continuamente a lui molti ordini religiosi della nostra regione, come i Certosini di Serra San Bruno, per lamentarsi della gravosità delle tasse ecclesiastiche imposte dall’Autorità centrale e per ottenere delle riduzioni o dilazioni nel pagamento delle stesse (25).
Il secondo documento è datato “9 dicembre 1659” e riguarda Domenico Ieracitano da Stignano (RC), diacono della diocesi di Squillace, al quale è stata concessa la facoltà di poter diventare sacerdote, sebbene gli mancassero dodici mesi per raggiungere l’età necessaria per accedere a tale dignità, come del resto stabilito dalle
norme canoniche del tempo: «Pro Dominico Hieracitano de Stignano, …dispensatio super defectu aetatis -12 m- ad presbyteratus ordinem» (26).
La terza scrittura risale al 7 maggio 1661 e contiene una dispensa matrimoniale, emessa dalla Curia Pontificia Romana, con sede temporanea in Castelgandolfo («(Dat. In Arce Gandulphi»), a favore di Paolo Pizzo e Giulia Ieracitano, che intendevano sposarsi (27).
Con quest’atto, trasmesso al Vicario generale dell’Archidiocesi di Reggio (Calabria), che precedentemente l’aveva interrogata sul caso, la superiore Amministrazione Ecclesiastica Vaticana concedeva l’autorizzazione, perché si celebrasse il matrimonio tra i due fidanzati, nonostante fossero legati da uno stretto rapporto di parentela e consanguineità («Pro Paulo Pizzo, laico, et Iulia Hieracitano, muliere, …dispensatio super impedimento III gradus».
Il quarto attestato porta la data del 24 aprile 1663 ed ha come protagonista un tal Geronimo Ieracitano (Hieronimo Ieracitano), di anni cinquanta, chierico della città di Stilo, appartenente alla diocesi di Squillace, al quale, in considerazione della perdita della vista e della sofferenza causatagli da altre non lievi malattie, è stato accordato di sostituire la recitazione dell’ufficio divino, nelle ore canoniche (o liturgiche) della giornata, con altre preghiere quotidiane (28).
La quinta ed ultima fonte, recante la data dell’ottobre (non è indicato il giorno) 1702, riguarda la nomina di Domenico Antonio Ieracitano (Dominico Antonio Ieracitano), di anni 30,alla dignità di sacerdote titolare della Chiesa parrocchiale di S. Maria, posta nella città di Stilo, in sostituzione del vecchio parroco, Francesco Sotira, elevato alla carica di arciprete della Chiesa collegiata dello stesso luogo (29).
Anche nella “Platea”della Certosa di Santo Stefano e San Brunone del Bosco (o di Serra S. Bruno) è stato possibile trovare del materiale onomastico utile alla nostra ricerca.
Prima di esporre quanto rinvenuto, è indispensabile fornire qualche notizia storica su questo importante documento, grazie al quale gli studiosi della materia hanno potuto far luce su molti aspetti della vita sociale ed economica della Calabria del Cinquecento, fino a quel momento rimasti oscuri (30).
Essa, infatti, come ricorda P. De Leo, «costituisce (…) una delle principali fonti per lo studio della Calabria tra età di mezzo ed epoca moderna» (31). Cominciamo col dire che nella Biblioteca del Museo Nazionale di Reggio Calabria si conservano due volumi di pergamene manoscritte, di straordinaria importanza storica, così catalogati: “Inv. Cal. n. 299” ed “Inv. Cal. n. 300” (32).
Si tratta appunto di un “Inventarium”, riguardante i beni un tempo posseduti dalla Certosa serrese, che è stata redatta nel XVI secolo (33).
Per poter ben comprendere il fine della realizzazione di questa “Platea” ed il suo effettivo valore storico, è necessario, preliminarmente, ricordare che il Monastero di Santo Stefano del Bosco, «dopo un secolo appena dalla sua fondazione, nel 1193, era passato in potere dei Cistercensi colle sue annesse grance e possessioni. (…) Nel 1513 Leone X ordinava che il Monastero di Santo Stefano del Bosco passasse dai Cistercensi ai Certosini con tutti i suoi
beni mobili ed immobili, colle sue dipendenze e diritti, e fosse retto secondo le regole degli altri monasteri certosini. Ma intanto era avvenuto che molti beni appartenenti a Santo Stefano erano stati dilapidati od usurpati, e se ne prevedeva difficile la ricognizione e più ancora la restituzione» (34).
Proprio per questa specifica ragione, l’imperatore Carlo V ordinava perentoriamente all’allora viceré di Napoli, il cardinale Pompeo Colonna, ed ai consiglieri del Regno «che si facesse una revisione o inventario dei beni spettanti alla Certosa e si provvedesse per la restituzione» (35).
I Figli di S. Bruno, dunque, per poter essere reintegrati nel legittimo dominio dei loro possedimenti, soprattutto di quelli agrari ed urbani, un tempo posseduti per acquisto, donazioni e lasciti effettuati da gente devota al Santo di Colonia, di cui erano stati precedentemente spogliati tanto dall’ingordigia baronale che da quella degli abati commendatari, hanno dovuto pazientemente adunare tutti i vecchi documenti, per ricomporre l’effettiva consistenza patrimoniale dei beni che erano stati ad essi ingiustamente usurpati e poterne dimostrarne gli antichi diritti di proprietà all’autorità imperiale (36).
Ecco spiegati in sintesi i reali motivi, che hanno portato alla compilazione della “Platea”, il cui vasto, complicato e minuto lavoro di identificazione di tutte le risorse e di stesura dei relativi atti, durato appena un anno, è stato ultimato nel 1534, cioè entro il limite di tempo stabilito dal nuovo viceré, Pietro de Toledo, in maniera così insperata e prodigiosa da indurre qualcuno a gridare addirittura al miracolo, che sarebbe stato operato da S. Bruno pro Domo sua (37).
Precisiamo, in primis, che l’Inventarium certosino non riporta ilcognome Ieracitano, ma soltanto quelli Yericitano e Yricitano, che del primo debbono essere ritenuti, a buona ragione, delle vere e proprie deformazioni onomastiche, assai frequenti nel modo di scrivere e parlare del volgo di quel tempo.
All’interno, poi, della compagine Yericitano, il nome che ricorre più spesso è quello di Antonello (Yericitanus Antonellus).
Si tratta di un possidente agricolo, al quale il Priore ed i Monaci della Certosa, in cambio del pagamento di un canone d’affitto annuo pari ad undici grani (o grana), hanno concesso in enfitèusi (38) un podere,
adibito alla coltivazione di ottanta piante di olivo e di molti alberi da frutto, come peri, fichi, ecc. Il fondo era posto in una località del territorio della città di Stilo (RC) denominata “Parise”, confinante con la strada pubblica, da un lato, e con altri possedimenti, tra cui un gran vigneto, dato anch’esso in enfitèusi a tal Matteo Mercurio, da tutti gli altri (39).
Antonello Iericitano, oltre a questo podere, è riuscito ad ottenerne in enfitèusi dai Figli di S. Bruno un altro, destinato a vigneto, sito nell’agro del casale di Guardavalle (CZ), più esattamente in località detta “Manustillo”, confinante con la vigna di tal Zaffino Mercurello (40), un altro beneficiario del rapporto enfitèutico certosino.
A tal Matteo Iericitano (Yericitanus Macteuus), invece, è stato concesso in enfitèusi un altro vigneto, in cui erano stati piantati duecento piedi di viti, sito nella Grangia di S. Maria di Arsafia, in territorio di Stilo, non distante dall’appezzamento di terreno dato in Morello (41).
Matteo, ogni anno, quale compenso per questa concessione,era tenuto a corrispondere ai Monaci certosini la quarta parte (“ad quartum”) della produzione vinicola di quel possedimento (42).
Un altro documento della “Platea”riguarda un tal Pietro Iericitano (Yericitanus Petrus), a cui la Certosa ha dato in enfitèusi un podere, in cui si trovavano piantati quattrocento piedi di viti, confinante con la vigna di Francesco Polito (o Ippolito), anche qui in cambio della quarta parte (“ad quartum”) di ciò che quel terreno agricolo avrebbe reso annualmente (43).
Nicola Giovanni Iricitano (Yiricitanus Nicolaus Ioannes) ha ottenuto in enfitèusi dal Convento serrese una vigna con quattrocento piedi di viti e tre alberi di fico, posta in una località detta “La Fontana di Pirgo”, la quale, a sua volta, era ubicata nello stesso possedimento di S. Leonzio, confinante, da ogni parte, con i fruttiferi vigneti e le terre
dell’omonimo Monastero, obbligandosi a corrispondere ai Certosini, quale ricompensa annua, la quarta parte della produzione vinicola (sub annuo reditu ad quartum) (44).
L’ultimo Iericitano di cui parla la “Platea” certosina è un tal don Bartolo Ieracitano (Yericitanus Bartholus), possessore di un podere non concessogli in enfitèusi ma di sua proprietà, che confinava con la terra, che il Monastero certosino serrese possedeva nel territorio della città di Squillace, in località “Pacenzoni”(45).
Che Bartolo Ieracitano fosse una persona socialmente ragguardevole lo evidenzia assai chiaramente il titolo onorifico, che, nell’atto, precede il suo nome e che troviamo espresso nella forma del latino volgare dell’epoca di riferimento: dopnus.
Tale epiteto veniva riservato a chi, in quel tempo, nel Meridione d’Italia, era riuscito a distinguersi nella comunità sociale in cui viveva ed operava, raggiungendo un considerevole stato di agiatezza economica.
L’appellativo dopnus discende dalla voce latina dominus (“signore”), trasformatasi nel tempo in donno, per giungere all’attuale forma tronca di don (46).
CAPITOLO QUINTO
IL COGNOME IERACITANO POTREBBE APPARTENERE ALLA CATEGORIA DEI NOMI PREDIALI ?
Se la desinenza “-ano”, peraltrodi incerta origine, come spiegato sopra (vedasi nota n. 5, riportata a p. 10), viene unita ad un antico nome gentilizio, latino o prelatino, il termine che ne deriva non indica più la provenienza di una persona da un certo luogo, ma esprime, invece, il dominio ed il possesso che sul fondo o podere in questione ha esercitato per lungo tempo la sua famiglia, che ne è stata l’antica proprietaria. I nomi che ne discendono, pertanto, vengono detti “prediali”, dalla voce latina praedium, che significa appunto “proprietà fondiaria”, “podere” ed occorre sottolineare come essi, indicando spesso non solo il fondo ma addirittura l’intero agro o campagna in cui questo è ubicato, appartengano più al campo della toponomastica che a quello dell’onomastica.
Da ciò risulta che il termine Marzano significa fondo di proprietà di un tal Marcius; Bruzzano podere posseduto da Brut(t)ius; Mesiano da Maesius; Corigliano da Corel(l)ius; Rossano da Roscius; Cassano da Cass(i)us; Aprigliano da Aprilius; Fabiano da Fabius; Stignano da Stiminius; Ferruzzano da Fer(r)ucius; Pazzano da Patius; ecc. (47). Il Rohlfs, a tal proposito, sottolinea che «i toponimi Marzano e Fabiano citati dal Battisti (Italia dialettale, VI, 87) non sono nomi di paesi, ma nomi di contrade e precisamente di fondi posseduti dalle famiglie calabresi Marzano e Fabiano» (48).
La presenza in Calabria di tutti questi nomi latini di luoghi (toponimi) uscenti in “-ano”, costituisce, secondo alcuni autorevoli studiosi, la più chiara testimonianza del fatto che i Romani, conquistato tutto l’ager Bruttius, dopo le lunghe e sanguinose guerre combattute contro Annibale ed i suoi Cartaginesi, hanno provveduto a colonizzare e, conseguentemente, a latinizzare l’intera nostra regione, compresa la estrema parte reggina (49).
Per altri studiosi, al contrario, queste tracce di colonizzazione romana sono di per sé insufficienti e non bastano a provare una profonda latinizzazione dell’intera Calabria, ma possono soltanto attestare la presenza in loco di proprietari terrieri latini (50).
È di questo parere il Rohlfs, il quale sostiene che tutti questi nomi prediali «non possono essere considerati come una prova assoluta d’un originario stanziamento latino», «perché i coloni delle fattorie donde sorsero poi gli attuali villaggi possono essere stati anche non romani», considerato che in realtà il suffisso “-ano” non è soltanto latino, ma, come già detto, appartiene anche all’antica lingua greca (51). Il Rohlfs, profondamente convinto che il substrato linguistico greco, presente nella lingua dialettale della nostra regione, non sia altro che il retaggio della civiltà della Magna Grecia, respinge l’arbitraria «opinione del Battisti, che vuole ricondurre la grecità calabrese alla colonizzazione bizantina avvenuta lentamente dal secolo VII in poi, sia per mezzo della dominazione greca, sia per l’influsso dei numerosi monasteri basiliani, sia per l’affluenza dei profughi siciliani» (52).
In considerazione di quanto fin qui esposto, dobbiamo categoricamente rigettare l’ipotesi che il cognome Ieracitano, mancando di quella che è la condizione necessaria per la formazione dei nomi prediali,possa rientrare in tale categoria e, quindi, indicare un fondo di proprietà della famiglia Ierace, cioè un podere che questa avrebbe posseduto ab antiquo.
Questa esclusione è dovuta al fatto che la sua prima parte morfologica (Ieraci), quella appunto che precede il suffisso “-ano”, non appartiene, in alcun modo, all’antica onomastica gentilizia latina (o prelatina), come necessariamente richiesto dal criterio di formazione dei nomi prediali, ma fa esplicito riferimento, invece, ad una città bruzia di origine greca, che è Gerace.
Ieracitano, in conclusione, almeno fino a questo momento, significa soltanto “nativo di Jerace” oppure “proveniente da Jerace”.
CAPITOLO SESTO
ALTRE POSSIBILI IPOTESI SULL’ORIGINE STORICO-
LINGUISTICA DEL COGNOME IERACITANO E SU SUOI
NUOVI SIGNIFICATI
Pur essendo pienamente convinti dell’esattezza della spiegazione fornita sopra, peraltro avvalorata e sorretta, con i loro studi, dagli autorevoli linguisti citati in bibliografia, secondo cui il cognome Ieracitano indica appunto una persona “nativa di Gerace” o “proveniente da Gerace”, tuttavia, per dovere di informazione storico-lingustica, non è proprio fuor di luogo offrire qui altre sue probabili letture. Esso, in verità, potrebbe pure derivare dal termine greco hierakítes (sottinteso líthos = “pietra, roccia”), con cui gli antichi indicavano la “ieracíte”, che era un particolare tipo di pietra preziosa, di cui, fra gli altri, parla anche Gaio Plinio Secondo (dai moderni detto il Vecchio, per distinguerlo dal nipote, detto il Giovane), quando, nella sua Naturalis historia (Storia naturale, da cui l’appellativo pure di Naturalista), disquisisce sull’origine dei minerali e sulla loro classificazione (53). Plinio, infatti, nella sua monumentale opera, esalta il variegato colore della “ieracíte” -caratteristica, questa, che era molto ricercata ed apprezzata in oreficeria-, che, alternando, su una stessa superficie, le sue diverse tonalità, che andavano dal grigio al bruno rossastro, somigliava moltissimo al variegato effetto cromatico prodotto dalle piume di uno sparviero, falco o nibbio (54), uccelli rapaci, questi, dal cui nome greco (hiérax) la gemma ha derivato il nome (55). Abbiamo ritenuto opportuno collocare tutti i tempi verbali riferiti alla “ieracíte” nella forma del passato e non in quella del presente, per il semplice motivo che, come avverte F. Calonghi, che ha avuto modo di esaminare brevemente la voce “ieracite” solo dal punto di vista linguistico, per la compilazione del suo vocabolario di lingua latina, questa «pietra preziosa è a noi (moderni) sconosciuta» (56).
Accogliendo per buona quest’altra interpretazione, il cognome Ieracitano potrebbe significare, dunque, “persona di gran valore e di gran pregio”, così come lo era anticamente la ieracite, ed, in un’accezione più ampia, “persona dalle eccelse virtù morali”.
Un’altra interpretazione potrebbe essere data al cognome Ieracitano, se solo provassimo a sdoppiarlo nei suoi due elementi costitutivi, entrambi derivanti dal dialetto ionico, che era un’antica lingua greca.
In tal caso, l’aggettivo ierós assumerebbe il significato di “sacro”, “santo”, “divino”, ed il sostantivo chitón quello di “tunica”, “mantello”, “veste” ed il loro abbinamento conferirebbe al cognome Ieracitano il significato di “persona che indossa una veste sacra” e, in un concetto più esteso, “persona religiosa”, “legata al culto di qualche divinità”, insomma un vero e proprio “sacerdote” o “sacerdotessa” (57).
Prima di chiudere definitivamente questo capitolo, dedicato all’origine storico-linguistica del cognome Ieracitano, vale la pena ricordare che esiste, ab aeterno, un tipo di cicoria selvatica, detta “ieracia”, che cresce spontaneamente in natura e di cui si sono sempre nutriti, nei secoli trascorsi, in momenti di grave crisi economica ed alimentare, sia gli animali che gli stessi uomini.
I Greci chiamavano quest’erba ieráchion, mentre le antiche popolazioni latine (o romane) hierācium o hierācion (“ieracia” o “ieracio”) (58).
Il Calonghi, nel considerarla «erba degli sparvieri» (o falchi), lascia supporre, molto chiaramente, che il suo nome derivi proprio dal fatto che questi uccelli predatori (hiéraches) si siano sempre cibati delle sue foglie (59).
Plinio, invece, la considera una semplice lattuga spontanea e non una vera e propria “cicoria selvatica”, di cui parla invece in un altro luogo, e sostiene che questa «specie a foglie arrotondate e corte è da alcuni chiamata “ieracio”, perché i falchi, intaccandola e aspergendosi gli occhi con il succo, recuperano una vista acuta, quando percepiscono che si è affievolita» (60).
Non deve stupirci la considerazione di Plinio, perché egli, sull’esempio di medici greci e latini, come Galeno e Celso, era fermamente convinto della straordinaria proprietà terapeutica posseduta da quest’erba selvatica (61). Per questo, nella sezione dedicata ai “rimedi medicinali” della sua opera enciclopedica, spiega come dalla pianta di “ieracio” si possa ottenere un collirio, con l’aggiunta di altre sostanze naturali, concludendo che «tutti questi ingredienti, macerati nell’aceto di Taso, vengono ridotti in pillole, rimedio eccellente contro l’insorgere dei glaucomi e delle cateratte, contro la debolezza della vista o le granulazioni, l’albugine e le affezioni delle palpebre» (62).
Non si trattava, dunque, di un medicinale liquido, come si presenta oggi il collirio, ma di un farmaco che veniva ridotto in vere e proprie compresse.
Pur non conoscendo le esatte modalità di preparazione di questo medicamento, non possiamo, però, escludere del tutto che il decotto, ottenuto dalla bollitura iniziale della nostra erba selvatica, venisse aggiunto, successivamente, ad altri ingredienti.
L’impasto finale veniva lasciato essiccare per un certo periodo di tempo, per essere poi trasformato in pasticche.
Dopo tutti questi riferimenti storico-naturalistici, non sapremmo davvero quale significazione dare al cognome Ieracitano, se, solo per un istante, volessimo riconoscere la sua derivazione dal nome di questo particolare tipo d’erba.
Potrebbe, infatti, voler dire:
a)-letteralmente, “venditore-trice di cicoria selvatica” o “di lattuga spontanea”, per uso alimentare;
b)-in una generalizzazione del concetto, “erbaiolo-a”, “erbivendolo-a”, “ortolano-a”, “venditore-trice di verdura e frutta”: «E l’erbaiuol rinnova/ di sentiero in sentiero/ il grido giornaliero» (63);
c)-”erborista”, cioè “raccoglitore-trice e venditore-trice di erbe medicinali” dalle straordinarie proprietà medicamentose, di cui l’uomo, talvolta, fa ancora oggi uso, per risanare il proprio corpo dalle molte
malattie che lo affliggono, ma di cui si è servito abbondantemente soprattutto nei secoli trascorsi, prima cioè dell’avvento della produzione artificiale o sintetica di quei farmaci, che attualmente vengono venduti nelle farmacie (64);
c)-“persona capace di curare alcuni mali fisici”;
d)-“persona dalla vista assai acuta, lunga”, quindi, in senso figurato, “lungimirante”, meglio ancora «che sa essere di mentalità aperta e sa valutare con perspicacia le situazioni attuali, prevedendone possibili svolgimenti futuri, in modo da trarne il massimo profitto» (65).
CAPITOLO SETTIMO
L’ORIGINE STORICO-LINGUISTICA DEL COGNOME
CÁLLIPO
A differenza del molto materiale onomastico rinvenuto per il cognome Ieracitano, per quanto concerne quello Cállipo, invece, nonostantele assidue e pazienti ricerche condotte, non siamo riusciti a raccogliere una larga messe di documenti archivistici da poter esibire in questa sede.
Tale mancanza di validi supporti cartacei, è dovuta, molto probabilmente, alla sua scarsa notorietà e diffusione nel territorio calabrese e ciò finora lo ha penalizzato non poco, in quanto non ha sufficientemente attirato su di sé l’attenzione degli stessi linguisti.
Tuttavia, non siamo rimasti a mani vuote, né sprovvisti del tutto di significativi elementi semantici, capaci non solo di contestualizzare storicamente la nascita del cognome Cállipo, ma anche di seguire quale evoluzione-trasformazione esso abbia subìto nel tempo, prima di arrivare a noi nella sua attuale veste linguistica.
Il glottologo, che maggiormente ha studiato l’origine e l’evoluzione semantica del cognome Cállipo, è stato il tedesco G. Rohlfs. Egli, dopo averci ricordato che la sua area geografica di appartenenza è particolarmente quella di Pizzo, Vibo Valentia e Briatico e di alcune non meglio precisate località della provincia di Reggio Calabria, lo fa discendere dall’antica voce dialettale calabrese cállipu, con cui i nostri antenati chiamavano lo “scopino per il forno”, il “tirabrace” il “fruciandolo” (66). Il termine cállipu deriverebbe,a sua volta, dai termini greci cálliupon- cálliupos e, poiché di essi si sa ben poco, perché si sono talmente estinti nel tempo da non lasciare dietro di sé alcuna traccia, neppure nei relativi dizionari linguistici, il Rohlfs, per poterne individuare il senso, rinvia al vocabolo cálliuntron, che ha il singolare significato di “scopa”, “spazzola” (67).
In verità, l’eminente glottologo berlinese ha sempre sostenuto, in tutti i suoi lunghi anni di instancabili ricerche linguistiche, che il nome Cállipo, riconducibile per significato alla “scopa da forno”, è di origine antichissima, ritenendola «certamente voce dell’antico sostrato greco, non conosciuta in Grecia» (68).
Anche se non più facente parte dell’antico lessico letterario greco -o perché scomparsovi nel tempo o perché mai entrato a farne parte-, di esso sicuramente sarà rimasta traccia nella lingua di quelle popolazioni greche, che, tra l’VIII ed il IX secolo a. C., hanno lasciato la madrepatria, per colonizzare gran parte dell’Italia Meridionale e, con essa, anche la nostra regione, fondandovi quella fiorente civiltà che la storia, ancora oggi, per il suo elevato splendore, ricorda con il nome di “Magna Grecia”.
Il termine cállipo, pertanto, introdotto in Calabria, nel modo sopra indicato, quasi tremila anni or sono, è giunto sino a noi, per dirla ancora col Rohlfs, come uno dei tanti «relitti greci», che affondano le loro antiche origini «nella terminologia del contadino calabrese» (69) e nei vari attrezzi di lavoro, di cui egli fa continuo uso nella sua quotidiana vita domestica.
Lo studioso tedesco, da par suo, non manca di precisare, tuttavia, che, per indicare lo “spazzaforno”, oltre al vocabolo cállipu, esistono, nei diversi linguaggi locali della nostra regione, molti altri termini derivanti da questo o, comunque, appartenenti tutti alla stessa famiglia etimologica, come ben dimostra l’elemento base immutabile, costituito appunto dalla comune radice “ca”.
Le diverse varianti del nome cállipu, disposte in ordine alfabetico, sono le seguenti:
cáddipu, in uso a Gasperina (CZ), Marcellinara (CZ) (70);
cádippu, in località non meglio precisate;
cádipu a Cittanova (RC) ed altri paesi della Piana di Gioia Tauro (RC);
cáglipu, in località non meglio precisate;
cajúpi a Canòlo (RC);
cájipu (o cajiùpu), in località non meglio precisate;
cájupu a Fabrizia (VV);
cajúpu a Mammola (RC);
cállapu, in località non meglio precisate;
cállipu, a Siderno (RC), Ardore (RC), Ferruzano (RC), Feroleto A. (CZ);
cállupu a Ciminà (RC);
cápiddu a Jatrinoli (RC) (71);
capíddu a Simbario (VV), Serra S. Bruno (VV) e dintorni;
cápižu a Motta Filócastro (VV);
cápiju a Conídoni, S. Costantino di Briatico e Briatico;
cáripu, in località non meglio precisate;
cažupu a San Nicola da Crissa e Vallelonga (72).
Anche G. B. Marzano fa risalire il cognome Cállipo alla voce dialettale cállipu ed alla sua variante cáddipu, specificando il vero significato che essa, nel tempo, ha assunto in Calabria: «Cencio di cucina bagnato che si lega ad un palo per ispazzare il forno, fruciandolo, spazzaforno, scovolo; dal greco caliútra, velo, invoglio, o dal greco cállintron, scopa. Ad una donna che ha le vesti sudicie si suol dire: pari nu cadipu, cioè “sembri un fruciandolo, uno spazzaforno”» (73).
Alla luce di quanto sopra esposto, ne consegue che il nome Cállipo significa “persona che scopa, spazza, pulisce il forno”.
Se, poi, volessimo ampliare il concetto espresso dal termine “scopa per il forno” e sostituirlo con un suo traslato, cioè con una parola diversa, ma che abbia col primo uno stretto rapporto di contiguità o di dipendenza, allora al cognome Cállipo potremmo attribuire anche il significato di “pulitore di forno” e, quindi, di “fornaio”.
È opportuno sottolineare che questa interpretazione non è né arbitraria né volutamente forzata, dal momento che trova un suo legittimo supporto semantico in un procedimento o artificio stilistico della lingua italiana, appartenente all’ambito della retorica, detto più precisamente “metonìmia”, cioè “sostituzione di nome”.
Essa, infatti, fra i suoi tanti possibili casi, stabilisce pure che si può scambiare il nome del mezzo o strumento di lavoro (“scopa per il forno”) con la persona che lo usa quotidianamente (“pulitore di forno” e, dunque, “fornaio”). Allo stesso modo, si può indicare l’autore al posto della sua opera e, quindi, anziché dire: «Abbiamo comprato all’asta un quadro dipinto dal pittore Pablo Picasso», possiamo, più semplicemente, affermare: «Abbiamo comprato all’asta un Picasso».
I manuali di grammatica italiana non solo riportano questo concetto, ma lo approfondiscono a tal punto da sostenere che l’espressione “Sei una buona cazzuola (si ‘na bona manicula, nel dialetto di San Nicola da Crissa, patria dell’autore del presente saggio) equivale a “Sei un bravo muratore”, l’altra “Sei un buon manico” significa “Sei un esperto guidatore di autoveicoli”, l’altra ancora “Sei il primo violino dell’orchestra” corrisponde a “Sei il primo suonatore di violino dell’orchestra” (74).
Il Mele, già sul finire dell’Ottocento e, dunque, prima ancora che giungesse in Calabria il tedesco Rohlfs, vero pioniere degli studi linguistici moderni sul nostro dialetto, si era posto il problema dell’origine del cognome Cállipo, concludendo che, per esso, «si potrebbe pensare alla parola greca cállipon» (75), per spiegare la quale il Rocci rinvia, però, alla voce verbale da cui essa trae origine, cioè cataleípo, fornendo, a sua volta, di questa voce diversi significati, tra cui quello, da noi prescelto, di “lasciare qualcosa in eredità agli altri a seguito di partenza o di morte” (76).
In tal caso, il nome Cállipo equivarrebbe ad “una persona, che, in punto di morte o di partenza, lascia agli altri qualcosa in eredità”.
Nei diversi lavori, da noi consultati, di G. Alessio, un attento studioso della lingua della Calabria, che è stata anche sua patria (Catanzaro, 1909; Firenze, 1984), non abbiamo rinvenuto alcuna traccia, che ci riconducesse in qualche modo al cognome di nostro interesse, Cállipo.
Questo glottologo, riporta, tuttavia, in un suo repertorio toponomastico, apparso in un’opera pubblicata più di settanta anni fa, soltanto il termine greco cálliuntron (77), lo stesso a cui il Rohlfs accosta cálliupon (p. 30), attribuendo ad esso sia il significato di “scopa”, segnalato del resto pure dal Rohlfs, che quello di “ornamento”, entrambi riportati dal dizionario del Rocci (78).
Per quanto il concetto di “scopa” e quello di “ornamento”sembrino alquanto distanti l’uno dall’altro ed incompatibili tra di loro, ad un’attenta riflessione essi rivelano una comune strategia operativa, nel senso che colui che scopa, spazzola e pulisce un oggetto o un ambiente lo fa solo con il preciso scopo di abbellirlo ed adornarlo, per meglio predisporlo al suo uso quotidiano e, nello stesso tempo, garantirne una maggiore durata nel tempo.
Siamo profondamente convinti che, se l’Alessio avesse preso in esame, dal punto di vista onomastico, l’origine storico-linguistica del cognome Cállipo, non avrebbe potuto fare a meno dal ricondurlo alla voce cálliuntron, per giungere, alla fine, alle stesse conclusioni cui è pervenuto il Rohlfs.
CAPITOLO OTTAVO
ALTRE POSSIBILI IPOTESI SULL’ORIGINE STORICO-
LINGUISTICA DEL COGNOME CÁLLIPO E SU SUOI
NUOVI SIGNIFICATI
Pur essendo certi che le teorie sopra esposte, a proposito della genesi del cognome Cállipo, siano le più plausibili e convincenti, almeno sotto il profilo storico-letterario, anche qui, per puro dovere di informazione, siamo indotti a presentare altre sue probabili letture.
Chi è esperto in storia della Calabria antica sa bene che, nella sua toponomastica di derivazione prevalentemente greca, ci sono dei termini così affini al cognome Cállipo che si può essere facilmente indotti a ritenere che questo possa discendere da quelli.
Si forniscono ora alcuni esempi a questo riguardo.
-Nei pressi di Badolato (CZ) scorre un fiume, che nei secoli passati veniva chiamato Callíporo, il cui nome, secondo quanto affermato dall’Alessio, deriva dalla voce greca callíporos, che ha il significato«che si guada bene» (79), perché composto dall’unione dell’attributo calós («bello») al sostantivo póros («passaggio, passo, guado»).
Tra gli autori antichi, che menzionano nelle proprie opere questo corso d’acqua, che chiamano però Calípparo, ricordiamo il Barrio (80) ed il Marafioti (81), mentre tra i moderni il Guillou (82).
Il suo nome moderno è Gallíparo (o Gallípporo), mentre in lingua dialettale è detto Cadípparu(83).
Questo fiume dà il suo nome anche ad alcuni fondi, che bagna durante il suo percorso verso il mare, come annotato dal Trinchera nel suo già ricordato Syllabus (84).
-Nella lingua dialettale di Bova (RC), località tipicamente grecanica,
con il termine “calipó” ( h.alipó)si indica il “rovo”, la “pianta delle more” (85) o, come annota l’Alessio, «”una pianta spinosa” (a Reggio “càlipu”, “càlapu”)» (86).
Tale nome, tuttavia, designa anche diverse contrade del reggino, così dette per l’eccessiva presenza di rovi, le quali si trovano nei pressi di Taurianova (RC), a Varapodio (RC), a Roghudi (RC) ed a Gallina (RC) dove esiste anche la forma Calipú (87).
Da “calipó”, poi, traggono origine altri toponimi come Calipía (Callipía; H.alipía; H.alipá), nome con cui vengono chiamate altre contrade di Locri, Platí, Bova, Mammola (RC) caratterizzate, ovviamente, dalla massiccia presenza di macchie di roveti (88).
Dalla voce Calipía nasce il nome Calípari, che, oltre ad essere un cognome presente a Reggio Calabria, è anch’esso l’appellativo di alcune contrade (H.alípari; Ghalipari): una posta nei pressi di Varapodio (RC) e le altre a Mélito di Porto Salvo (RC), San Lorenzo (RC) e Taurianova (RC) (89).
Calipusa (H.alipusa) è definita una contrada di Marina di Gioiosa Ionica, perché il suo è un “terreno con molti rovi”, come ci ricorda il Rohlfs (90). Non ci è stato possibile rinvenire, come avremmo forse desiderato, l’aggettivo calipusu, adoperato in senso figurato, sia per qualificare un evento che un individuo.
Nel primo caso, riferito ad un “argomento”, “materia”, “situazione”, “questione”, avrebbe conferito agli stessi il significato di “scabrosi”, “ardui da affrontare”, “irti di difficoltà”, “difficili da risolvere”, “delicati”, “imbarazzanti”, insomma “pieni di spine come un rovo”.
Nel secondo, invece, attribuito ad una persona, avrebbe potuto esprimere la tendenza di questa a comportarsi, nei confronti degli altri, in maniera “mordace”, “irritante”, “offensiva”, fino a servirsi di un linguaggio “pungente come le spine di un rovo”.
-Calipó è detto anche un monte che si trova nella zona di Reggio Calabria, che, quasi sicuramente, deve questo suo nome all’eccessiva presenza di rovi (91) .
-Con il nome Kallípolis, derivantedall’accoppiamento dell’aggettivo calós («bello») con il sostantivo pólis («città») (“bella città”) (92), con cui oggi viene indicata una città pugliese, era chiamato anticamente (secolo IX), l’odierno paese di Belcastro, comune presilano in provincia di Crotone, detto successivamente (secolo XIII) Genicocastrum (93).
-In lingua greca la voce Cállippos, che trae origine dall’accoppiamento del consueto attributo calós («bello») con il sostantivo híppos («cavallo»), significa “buon cavaliere”, secondo la definizione data dal Rocci (94), e, in un’amplificazione del significato dell’aggettivo calós, anche “virtuoso, glorioso, coraggioso cavaliere” (95).
Il passaggio da questa locuzione al nostro cognome Cállipo è abbastanza breve, se pensiamo, come del resto è spesso accaduto, che essa, nel corso dei millenni, possa aver subìto la caduta di una delle due consonanti “p”.
Per concludere, l’illustrazione di questi idronimi, (fiume Callíporo), oronimi (monte Calipó) e toponimi (poderi, contrade, veri e propri centri urbani, come Kallípolis) e persino, per ultimo, l’utilizzo di un’espressione appartenente all’ambito guerresco-militare, può da sola bastare a farci ritenere che il cognome Cállipo possa avere altra origine storico-linguistica, rispetto alle tesi esposte nei paragrafi precedenti e che noi, in tutta sincerità, consideriamo le più valide e veritiere?
N O T E
(1) P. OVIDIO NASONE, Metamorfosi, XV, 234, a cura di M. Ramous, Garzanti, Milano, 1995 (voll. 2).
(2) G. ROHLFS, Scavi linguistici nella Magna Grecia, Congedo editore, Galatina (Lecce), 1974, pp. 189, 233.
(3) IBIDEM, p. 215, nota n. 299; G. CARACAUSI (a cura di), Testi neogreci di Calabria. Indice lessicale, Luxograph, Palermo, 1979, p. 358 («Reggio: Ríyi»).
(4) Per poter effettuare una puntuale classificazione tipologica dei suddetti cognomi, ci siamo avvalsi dei seguenti studi:
G. ROHLFS, Dizionario dei cognomi e soprannomi in Calabria, Longo editore, Ravenna, 1979, pp. 11-13, 122, 138;
IDEM, Scavi linguistici nella Magna Grecia, cit., pp. 189-244;
IDEM, All’origine dei cognomi, in “Almanacco Calabrese”, anno X (1960), n.
10, pp. 66, inclusa la nota n. 4, e 70;
IDEM, Dizionario toponomastico e onomastico della Calabria, Longo editore, Ravenna, 1990 (1a edizione, Ravenna, Longo editore, 1990), pp. X-XI;
IDEM, La grecità in Calabria, in “Archivio storico per la Calabria e la Lucania”,
anno II (1932), pp. 415-418;
IDEM, Calabria e Salento. Saggi di storia linguistica. Studi e ricerche, Longo editore, Ravenna, 1980, p. 78;
G. ALESSIO, I dialetti della Calabria, in “Almanacco Calabrese”, anno XIV (1964), n. 14, pp. 32-33;
IDEM, Il prestito linguistico, Liguori editore, Napoli, 1973, p. 23;
F. MOSINO, Tracce di bilinguismo nell’onomastica calabrese, in “Civiltà di Calabria”, Edizioni Effe Emme, Chiaravalle Centrale (CZ), 1976, p. 298;
IDEM, Note e ricerche linguistiche, Edizioni di “Historica”, Reggio Calabria, 1977, p. 151;
IDEM, Rohlfs e i Calabresi, in “Calabria Sconosciuta”, anno III (1980), n. 9, pp. 13-15;
IDEM, Le origini del volgare in Calabria, Edizioni di “Historica”, Reggio Calabria, 1981, p. 89 e passim.
IDEM, Storia linguistica della Calabria, Marra editore, Cosenza, 1987, pp. 162-163 e passim;
IDEM, Dal greco antico al greco moderno in Calabria e in Basilicata, Giuseppe Pontari editore, Reggio Calabria, 1995, pp. 44-45 e passim.
A. PELLEGRINI, Il dialetto greco-calabro di Bova, Forni editore, Bologna, 1970 (ristampa anastatica dell’edizione di Torino, 1880), pp. 264-270 (“Cognomi di famiglie residenti a Bova”).
(5) C. BATTISTI, Ancora sulla grecità in Calabria, in “Archivio storico per la Calabria e la Lucania”, anno III (1933), p. 80; G. ROHLFS, Dizionario dei cognomi e soprannomi in Calabria, cit., p. 10 (“Diffusione geografica dei cognomi calabresi”); IDEM, Dizionario toponomastico e onomastico della Calabria, cit., p. XI.
(6) L’origine del suffisso “-ano”, presente nei cognomi calabresi terminanti in “-itano”, come appunto i nostri Ieracitano” (o Jeracitano) e Geracitano, è stata da sempre molto discussa tra gli studiosi della materia, che, ancora oggi, non sanno bene se considerarlo latino, prelatino e, in quest’ultimo caso, di derivazione greca.
G. ROHLFS (Scavi linguistici nella Magna Grecia, cit., p. 240, paragrafo n. 15; IDEM, All’origine dei cognomi, cit., p. 70), tuttavia, lo ritiene «un incrocio tra la desinenza greca “-ítes” e la desinenza latina “anus”, incrocioche si manifestò nelle regioni bilingui della Magna Grecia e che rimase limitato all’estremo Mezzogiorno (d’Italia)». Una tesi, questa, pienamente condivisa anche da G. ALESSIO (Il prestito linguistico, cit., p. 23), il quale, a sua volta, sottolinea come tale fusione sia avvenuta durante la dominazione bizantina.
(7) G. ROHLFS (La grecità in Calabria, cit., p. 416) fornisce l’esatto significato di Geracitano, che equivale a “nativo di Gerace (Reggio)”.
Sul cognome Gheracitanos, nel significato di “abitante di Gerace”, si sofferma anche F. MOSINO, Le origini del volgare in Calabria, cit., p. 89, sub voce “Gheracitanos”; IDEM, Storia linguistica della Calabria, cit., vol. I, p. 162.
Lo stesso Mosino, in un altro suo studio (Testi calabresi antichi [sec. XV], Edizioni Brenner, Cosenza, 1983, p. 9), citando un tal “Luca Gerachitano”, non manca di ricordarci che di questo cognome, nell’antichità, esisteva anche la variante Gerachitano, rinvenutain uno dei tanti documenti da lui esaminati, nell’intento di ricostruire la storia linguistico-culturale del volgare calabrese nel Medievo.
(8) G. ROHLFS, Dizionario dei cognomi e soprannomi in Calabria, cit., pp. 122, sub vocibus “Geracitano” e “Gerecitano”, ove è riportato che al cognome italiano Geracitano corrisponde, nel linguaggio dialettale calabrese, la forma Jeracitanu, e 138 sub voce “Jeracitano”; IDEM, Dizionario toponomastico e onomastico della Calabria, cit., pp. 125, sub voce “Geracitano”, e 146, sub
voce “Jeracitano”. Se, dunque, il nome Gerecitano è da ritenersi una corruzione del primitivo Geracitano, dobbiamo per forza supporre, per analogia, che di Ieracitano (o Jeracitano) potrebbero anche esistere altre forme, quali Ierecitano, Jerecitano, Yericitano ed Yricitano, come risulta nei materiali onomastici della Grande “Platea” della Certosa di Serra S. Bruno, di cui parleremo più avanti.
(9) IDEM, Toponimi da patronimici in Calabria (Il tipo “Stefanáconi”), in “Civiltà di Calabria”, cit., p. 424, sub voce “Gerocarne”.
(10) IDEM, Calabria e Salento…, cit., p. 78, nota n. 19; IDEM, Scavi linguistici nella Magna Grecia, cit., pp. 189-190;IDEM, Dizionario dei cognomi e soprannomi in Calabria, cit., p. 122, sub voce “Gerace”; IDEM, La grecità in Calabria, cit., p. 413;S. MELE, L’Ellenismo nei dialetti della Calabria Media, Tipografia Francesco Raho, Monteleone, 1891, p. 42, sub voce “Gerace” (ora anche in edizione anastatica, Forni, Bologna, 1970);G. ALESSIO, Sopravvivenze classiche nei dialetti calabresi, in Brettii, Greci e Romani, “Atti del V Congresso Storico Calabrese” (Cosenza- Vibo Valentia-Reggio Calabria: 28-31 ottobre 1973), Arti Grafiche Fratelli Palombi, Roma, 1983, p. 96. Questo Autore ricorda come il termine hierakos, genitivo di hierax («sparviero»), con funzione toponomastica e quindi nel significato di “(abitante) della città di Gerace”, compaia anche nel Codex del Trinchera, più precisamente nel documento n. 192 dell’anno 1179 (p. 253) ed in quello n. 263 del 1213 (p. 360), dove viene tradotto, nel testo latino a fronte, con l’epiteto di “Hieracensis”. Sull’argomento, si confronti, infine, F. MOSINO, Glossario del calabrese antico (sec. XV), Longo editore, Ravenna, 1985, p. 128, sub vocibus “Girachi, Giraci”, il quale, a sua volta, rinvia ad un suo precedente lavoro: Testi calabresi antichi (sec. XV), cit., pp. 29 e 58.
Per la rappresentazione dello stemma dell’attuale città di Gerace, si veda G. VALENTE, Il dizionario bibliografico, biografico, geografico, storico della Calabria, Edizioni Geometra, Cosenza, 2005, vol. III, p. 374, sub voce “Gerace” (1a edizione [ma con diverso titolo: Dizionario dei luoghi della Calabria, vol. I], Frama’s, Chiaravalle Centrale [CZ], 1973, p. 461).
(11) G. ROHLFS, Calabria e Salento…, cit., p. 78.
(12) IDEM, Scavi linguistici nella Magna Grecia, cit., pp. 189-90, con particolare riferimento alla nota n. 260. L’Autore riprende lo stesso concetto a p. 208, sub voce “Gerace”; IDEM, Dizionario toponomastico e onomastico della Calabria, cit., p. 125, sub voce “Gerace”.
Per quanto concerne l’opera del Trinchera, richiamata sopra, prima dall’Alessio (vedasi nota n. 9) ed ora dal Rohlfs, si tratta del famoso Syllabus graecarum membranarum, di cui si dirà meglio più avanti.
(13) Non contiene alcunché sul cognome Jeracitano -in tutte le sue possibili forme: Ieracitano, Yeracitano, Ierecitano, Jerecitano, Yerecitano, Yericitano ed Yricitano- il lavoro di D. VENDOLA (Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV: Apulia, Lucania, Calabria, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1939), sebbene costituisca per gli studiosi un’altra delle poche preziose fonti di informazioni onomastiche e toponomastiche sulla Calabria medievale.
(14) F. TRINCHERA, Syllabus graecarum membranarum, Tipografia Giuseppe Cataneo, Napoli, 1865, passim (ora anche in edizione anastatica, pubblicata da Arnaldo Forni editore, Sala Bolognese [Bologna], 1978).
Per avere maggiori ragguagli sulle fonti, che hanno permesso al Trinchera la compilazione del suo Syllabus, e sulla validità dell’apporto fornito dai documenti provenienti dalla Certosa serrese e spettanti ai comuni di Stilo e Gerace, si consultino le seguenti opere: G. ROHLFS, Scavi linguistici nella Magna Grecia, cit., p. 24; IDEM, Dizionario dei cognomi e soprannomi in Calabria, cit., p. 10 (“Nomi di fonte medievale”); IDEM, Dizionario toponomastico e onomastico della Calabria, cit., pp. XI-XII. Si segnala, infine, la “Nota conclusiva”, redatta dal prof. G. B. SCALISE e posta a chiusura dell’edizione anastatica del Syllabus del Trinchera, edita da Vincenzo Ursini, Catanzaro, 2000, s. p. (ristampa anastatica dell’edizione di Napoli, Tipografia Giuseppe Cataneo, 1865).
(15) I due documenti n. XVI e XVII pubblicati dal Trinchera ed esaminati sopra, sono oggi riportati anche in I. PRINCIPE, La Certosa di S. Stefano del Bosco a Serra S. Bruno. Fonti e documenti per la storia di un territorio calabrese, Edizioni Frama Sud, Chiaravalle Centrale (Catanzaro), 1980, pp. 84-85.
(16) G. ROHLFS, Dizionario toponomastico e onomastico della Calabria, cit., p. 291, sub voce “San Leonzio”; IDEM, Dizionario dei cognomi e soprannomi in Calabria, cit., p. 146, sub voce “Leònte”; E. BARILLARO, Dizionario bibliografico e toponomastico della Calabria, vol. III, Pellegrini editore, Cosenza, 1976, p. 201 sub voce “San Leonte”; F. MOSINO, La Grande Platea di S. Stefano del Bosco, in “Calabria Bizantina” (“Istituzioni civili e topografia storica”), Gangemi editore, Roma-Reggio Calabria, 1986, pp. 165, 188 (sub voce “Stilo”), 192. Si veda in argomento anche L. CUNSOLO (La storia di Stilo e del suo regio demanio [dal secolo VII ai nostri giorni], Gangemi editore, Roma-Reggio Calabria, 1987, p. 45 (1a edizione a cura del Comune di Stilo, Stabilimento Tipografico A. Staderini, Roma, 1965), che, però, contrariamente agli altri studiosi, colloca il monastero di S. Leonzio all’interno delle mura della città di Stilo: «in civitate Styli».
(17) Può, senz’altro, destare meraviglia il fatto che ben due Ieracitano, dei quattro sopra menzionati, si chiamassero “Orso”, nome di inconfondibile derivazione latina (Ursus). A tal proposito, A. GUILLOU (Nomi, cognomi e soprannomi nella Calabria Bizantina, in “Calabria Bizantina” [“Istituzioni civili e topografia storica”], Gangemi editore, Roma-Reggio Calabria, 1986, pp. 127, 130), ricorda che, già in età bizantina, i nomi di persona «in gran numero sono formati da nomi di animali certamente per ragioni concrete. E l’animale privilegiato è l’orso». Le «ragioni concrete» vanno individuate nel fatto che l’uomo, sin dai tempi più antichi, ha sempre trovato utile e
conveniente assegnare ad un proprio figlio l’appellativo di “Orso” o “Lupo” (sostituendo quest’ultimo, talvolta, con il corrispettivo termine greco, Lico), convinto che ciò lo potesse aiutare -se non proprio a vincere del tutto- almeno a ridurre la grande paura, che provava nei confronti di questo feroce e grosso mammifero, per il sol fatto che l’animale portava un nome ormai a lui divenuto familiare.
(18) I. PRINCIPE, La Certosa di S. Stefano del Bosco a Serra S. Bruno…, cit., pp. 19 (documento n. 2332), 28, 31 (documento n. 2)
(19) F. MOSINO, I materiali onomastici nella Grande Platea della Certosa di S. Stefano del Bosco (1532-1534), in “Archivio Storico per la Calabria e la Lucania”, anno LI (1984: continuazione da ASCL, anno L [1983], p. 256), p. 179, sub vocibus “Yericitanus Antonellus”, “Yericitanus Bartolus”, “Yericitanus Macteuus”, “Yericitanus Petrus”; p. 180, sub voce “Yricitanus Nicolaus Ioannes”.
(20) F. TRINCHERA, Syllabus graecarum membranarum, cit., passim.
(21) Con il nome di “regesto” si vuole indicare una raccolta ordinata di copie
di documenti, riassunti e riportati, nelle loro parti essenziali, in delle vere e proprie schede. È esattamente questo il lavoro eseguito dal Russo, dopo lunghi anni di pazienti ricerche svolte nell’Archivio Segreto Vaticano di Roma, per consegnarci un lavoro davvero irripetibile e di inestimabile valore storico per chi voglia indagare sulle vicende religiose, che sono accadute in Calabria nei secoli trascorsi.
(22) F. RUSSO, Regesto Vaticano per la Calabria, vol. IV, Gesualdi editore, Roma, 1978, p. 460, doc. n. 22217.
(23) V. CAPIALBI, Gugliemo Cardinal Sirleto, in “Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli”, curata da Agostino Gervasi, Napoli, 1820-1828.
Questo saggio biografico del Capialbi è possibile rinvenirlo anche in L. ACCATTATIS, Le biografie degli uomini illustri delle Calabrie, Dalla Tipografia Municipale, Cosenza, 1869-1877, di cui esiste l’edizione anastatica curata dall’editore A. Forni, Sala Bolognese (Bologna), 1977, vol. II, pp. 31-36; G. VALENTE, Il dizionario bibliografico, biografico, geografico, storico della Calabria, cit., vol. VI, p. 296, sub voce “Sirleto, Guglielmo”.
(24) F. RUSSO, Regesto Vaticano per la Calabria, Gesualdi editore, Roma, Indice n. 1 (relativamente ai volumi 1-5), “Sezione onomastica”, p. 171, sub voce “Carafa Antonio (Cardinale)”.
(25) I. PRINCIPE, La Certosa di S. Stefano del Bosco a Serra S. Bruno…, cit., p. 97, in cui sono riportati alcuni transunti del Regesto Vaticano per la Calabria di F. Russo, tutti riguardanti i Certosini serresi ed i loro rapporti fiscali con le competenti autorità ecclesiasiche del tempo.
(26) F. RUSSO, Regesto Vaticano per la Calabria, vol. VII, Gesualdi editore, Roma, 1983, p. 472, doc. n. 38817.
(27) IBIDEM, vol. VIII, Gesualdi editore, Roma, 1985, p. 22, doc. n. 39227.
(28) IBIDEM, p. 79, doc. n. 39854.
(29) IBIDEM, vol. IX, Gesualdi editore, Roma, 1986, p. 379, doc. n. 49813.
(30) P. DE LEO (a cura di), La Platea di S. Stefano del Bosco, Rubbettino editore, Soveria Mannelli (CZ), 1997, vol. I, p. V (“Introduzione”).
(31) IBIDEM, p. XIII.
(32) F. RAFFAELE, Le platee manoscritte della Certosa di Serra S. Bruno, in “Klearchos”, anno IV (1962), n. 15-16, pp. 91-92; P. DE LEO (a cura di), La Platea di S. Stefano del Bosco, cit., vol. I, p. VII (“Introduzione”).
(33) F. RAFFAELE, Le platee manoscritte della Certosa di Serra S. Bruno, cit., p. 91; A. MARZOTTI, Di alcune fonti calabresi del Cinquecento, in “Incontri Meridionali, n. 3-4, 1978, p. 122.
(34) F. RAFFAELE, Le platee manoscritte della Certosa di Serra S. Bruno, cit., pp. 92-93; A. MARZOTTI, Di alcune fonti calabresi del Cinquecento, cit., p. 123.
(35) F. RAFFAELE, Le platee manoscritte della Certosa di Serra S. Bruno, cit., p. 93; A. MARZOTTI, Di alcune fonti calabresi del Cinquecento, cit., p. 124.
(36) P. DE LEO (a cura di), La Platea di S. Stefano del Bosco, cit., vol. I, pp. V-VI (“Introduzione”).
(37) F. RAFFAELE, Le platee manoscritte della Certosa di Serra S. Bruno, cit.,
pp. 93-94; P. DE LEO (a cura di), La Platea di S. Stefano del Bosco, cit., vol. I, p. VII e XII (“Introduzione”); A. MARZOTTI, Di alcune fonti calabresi del Cinquecento, cit., p. 122. In argomento, si consulti ancora I. PRINCIPE, La Certosa di S. Stefano del Bosco a Serra S. Bruno…, cit.,p. 26.
(38) Dell’istituto dell’”enfitèusi”, che è un rapporto contrattuale tra due persone, che risale ab antiquissimo e che riguarda la locazione di proprietà terriere, si è servita molto anche la Certosa di Serra San Bruno, ogni volta che decideva di concedere, in perpetuo o a tempo determinato, il godimento di un suo fondo ad un’altra persona, a condizione che questa si obbligasse ad apportarvi le migliorie necessarie -e, comunque, a non lasciarlo deteriorare- ed a corrispondere ai suoi Monaci concedenti, in qualità di proprietari, un prestabilito canone annuo in denaro o in natura, che, il più delle volte, consisteva nella cessione di parte di quelle stesse derrate agricole, che venivano prodotte dal podere ceduto.
(39) P. DE LEO (a cura di), La Platea di S. Stefano del Bosco, cit., vol. I, p. 138 (paragrafi n. 26 e 27), p. 143 (paragrafo n. 56/B-55r).
Si veda, ancora, F. MOSINO, I materiali onomastici nella Grande Platea della Certosa di S. Stefano del Bosco (1532-1534), cit., p. 179, sub voce “Yericitanus Antonellus”.
(40) P. DE LEO (a cura di), La Platea di S. Stefano del Bosco, cit., vol. I, p. 148 (paragrafo n. 2).
(41) IBIDEM, vol. I, pp. 148-149 (paragrafi n. 3 e 4); F. MOSINO, I materiali onomastici nella Grande Platea della Certosa di S. Stefano del Bosco (1532-1534), cit., p. 179, sub voce “Yericitanus Macteuus”.
Si può ragionevolmente supporre che gli enfitèuti Zaffino Morello, citato in questi documenti, e Zaffino Mercurello, presente negli atti di cui sopra, che riguardano Antonello Yericitàno,siano esattamente la stessa persona: ci inducono a ritenere possibile l’identificazione di questi due individui, aventi lo stesso cognome (Zaffino), la stretta somiglianza-assonanza esistente tra i loro nomi (Morello-Mercurello), che lo scriba che ha compilato la “Platea”, nell’atto di trascriverli, potrebbe benissimo aver stoltamente deformato. Per avere maggiori ragguagli sulla Grangia certosina di S. Maria di Arsafia, si consultino: P. DE LEO (a cura di), La Platea di S. Stefano del Bosco, cit., vol. I, pp. X-XI (“Introduzione”); I. PRINCIPE (La Certosa di S. Stefano del Bosco a Serra S. Bruno…, cit., p. 55 [documento n. 8], p. 61 [documento n. LIX]) il quale, sull’esempio dello storiografo certosino Benedetto Tromby, ricorda che il Monastero di S. Maria di Arsafia, le sue terre e relative pertinenze come i mulini, nonché alcuni abitanti della città di Stilo, sono divenuti possedimenti dei Certosini di Serra nel lontano 1094, anno in cui il Conte Ruggero I il Normanno li ha voluti donare, generosamente, a San Bruno, non solo perché suo grande amico, protettore e Padre spirituale, ma anche «pro dei amore atque pro peccatorum suorum remedio». Per un’esatta localizzazione del sito in cui si trovavano le terre di Arsafia, «situata a 2 km a nord di Monasterace (comune in provincia di Reggio Calabria), lungo la fiumara Assi, che si riversa nel mare a Punta Stilo» ed il suo Monastero, si esaminino: A. GUILLOU, Le Brébion de la Métropole Byzantine de Règion (vers 1050), Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano, 1974, pp. 34, con particolare riferimento alla nota n. 3, 35-36, 39-41; G. ROHLFS, Dizionario toponomastico e onomastico della Calabria, cit., p. 17, sub voce “Arsafía”, che identifica il luogo con «una contrada (posta) nella zona di Stilo». Dello stesso parere è F. MOSINO, La Grande Platea di S. Stefano del Bosco, cit., p. 188, sub voce “Stilo”.
(42) P. DE LEO (a cura di), La Platea di S. Stefano del Bosco, cit., vol. I, p.148, paragrafo n. 3.
(43) IBIDEM, vol. I, p. 149 (paragrafo n. 7); F. MOSINO, I materiali onomastici nella Grande Platea della Certosa di S. Stefano del Bosco (1532-1534), cit., p. 179, sub voce “Yericitanus Petrus”.
(44) P. DE LEO (a cura di), La Platea di S. Stefano del Bosco, cit., vol. I, p. 153 (paragrafo n. 13); F. MOSINO, I materiali onomastici nella Grande Platea della Certosa di S. Stefano del Bosco, cit., p. 180, sub voce “Yiricitanus Nicolaus Ioannes”.
Per l’identificazione della località detta “La fontana di Pirgo” o “ di Pirga”, un antico casale diruto, ora contrada di Grotteria (RC), si confrontino: P. DE LEO (a cura di), La Platea di S. Stefano del Bosco, cit., vol. I, p. XI, inclusa la nota n. 24 (“Introduzione”); G. ROHLFS, Dizionario toponomastico e onomastico della Calabria, cit., p. 245, sub voce “Pirgo”; F. MOSINO, La Grande Platea di S. Stefano del Bosco, cit., pp. 170, sub vocibus n. 172 e 173, e 182, sub voce “Grottería”
(45) P. DE LEO (a cura di), La Platea di S. Stefano del Bosco, Rubbettino editore, Soveria Mannelli (CZ), 1998, vol. II, p. 379 (paragrafo n. /B-136v); F. MOSINO, I materiali onomastici nella Grande Platea della Certosa di S. Stefano del Bosco, cit., p. 179, sub voce “Yiricitanus Bartolus”.
(46) IDEM, Le origini del volgare in Calabria, cit., p. 75, sub voce “donno”.
(47) G. ROHLFS, Scavi linguistici nella Magna Grecia, cit., pp. 193-194, 229; F. MOSINO, Note e ricerche linguistiche, cit., p. 151; G. ALESSIO, I dialetti in Calabria, cit., pp. 32-33; IDEM, Il prestito linguistico, cit., p. 23; IDEM, Grecità e romanità nell’Italia Meridionale, in “Italia linguistica nuova ed antica”, Congedo editore, Galatina (Lecce), 1978, vol. II, pp. 109-110.
È interessante rilevare come, già ai primi dell’Ottocento, la presenza di alcuni nomi prediali nel territorio ionico reggino non sia passata inosservata all’attenzione di un profondo conoscitore della storia antica calabrese, come l’erudito monteleonese Conte Vito Capialbi, cui nulla sfuggiva di tutto ciò che nel passato aveva riguardato la sua patria (Monteleone, oggi Vibo Valentia) e quella dei suoi avi (Stilo [RC]). In una delle sue prime opere, infatti, osserva che «Curtizano e Pellicciano sono anche nomi di alcuni poderi del (…) territorio stilese» (V. CAPIALBI, Memorie delle Tipografie Calabresi […], 2a ediz. a cura di C. F. Crispo, Arti Grafiche Aldo Chicca, Tivoli, 1941 [1a ediz. Napoli, Tipografia Porcelli, 1835], p. 93, note n. 5 e 6; IDEM, Diploma graecum aerae vulg. ann. MCLIV […], Tipografia Gabriele Porcelli, Napoli, 1836, p. 11, note n. 2 e 3).
(48) G. ROHLFS, Scavi linguistici nella Magna Grecia, cit., p. 193, nota n. 271.
(49) G. ALESSIO, I dialetti della Calabria, cit., p. 32; C. Battisti, Ancora sulla grecità in Calabria, cit., pp. 67-95.
(50) G. CARACAUSI, Stratificazione della toponomastica calabrese, in “Calabria Bizantina”(“Istituzioni civili e topografia storica”), Gangemi editore, Roma-Reggio Calabria, 1986, p.147.
(51) G. ROHLFS, Scavi linguistici nella Magna Grecia, Congedo editore, Galatina (Lecce), 1974, pp. 193-194.
(52) IDEM, La grecità in Calabria, cit., p. 422. C. BATTISTI (Ancora sulla grecità in Calabria, cit., p. 79) sostiene, con profonda convinzione, che «nel mandamento di Gerace il greco si è diffuso esclusivamente per opera del più importante centro bizantino di eremiti e calogeri (cioè monaci: n. d. a.) basiliani che fu Stilo, su popolazione latinizzata».
(53) GAIO PLINIO SECONDO, Storia Naturale (edizione italiana diretta da G. B. Conte), Giulio Einaudi editore, Torino,1982-1988, vol. V (“Mineralogia e Storia dell’Arte”), libri 33-37, p. 841, paragrafo n. 60, inclusa la nota n. 3.
(54) IVI.
(55) L. ROCCI, Vocabolario greco-italiano, Società Editrice Dante Alighieri, Città di Castello (Perugia), 2002, p. 908, sub voce “hierakítes”. Il Rohlfs (Nuovo dizionario dialettale della Calabria, Longo editore, Ravenna, 1977, p. 335, sub vocibus “jeracinu-jaracinu”) annota che, nella lingua dialettale calabrese, il termine jeracinu (e la sua variante jaracinu) è ancora oggi adoperato, allorquando ci si vuole riferire ad un qualsiasi elemento della natura, che abbia lo stesso colore dello sparviero e cita, a mo’ di esempio, la gallina jaracina.
F. MOSINO (Dal greco antico al greco moderno in Calabria e in Basilicata, cit., p. 52) sostiene che «è detta gaglina saracina, nel Reggino, la gallina dalle penne macchiate». È lecito pensare che l’attributo saracina, riferito ad un gallinaceo, derivi da saracino (“saraceno”) e che sia stato coniato sul modello di ranu saracinu (“grano saraceno” o “ grano nero”), così detto perché da esso si ottiene una farina scura, ma non si può neppure del tuttoescludere che l’aggettivo qualitativo jaracina, presente nella primitiva espressione popolare reggina riferita a gallina jaracina, si sarebbe lentamente trasformato, nel tempo, in un termine dal suono simile o assonante, cioè in saracina.
L’Alessio (Calchi linguistici greco-latini nell’antico territorio della Magna Grecia, in “Atti dell’VIII Congresso Internazionale di Studi Bizantini” [Palermo: 3-10 aprile 1951], Associazione Nazionale per gli Studi Bizantini, Roma, Tipografia Pio X, 1953, p. 252), infatti, parlando del graduale divenire scuro del colore dell’uva, ricorda come, presso le popolazioni calabresi, sia ancora adoperato, oltre al verbo zingarïari il verbo saracinare, nel senso di «imbrunare per la maturazione».
(56) F. CALONGHI, Dizionario latino-italiano, Rosenberg & Sellier editori, Torino, 1990, p. 1253, sub voce “hierācitis”. Va messo in rilievo come il vocabolo “ieracite” non venga riportato nei vocabolari della lingua italiana, né in quelli vecchi né in quelli moderni, ed, ancor meno, nella Enciclopedia Treccani o in altri ragguardevoli dizionari enciclopedici. Si deve ritenere,
dunque, che esso non abbia mai fatto parte del nostro lessico, benché fosse
abbastanza noto alle popolazioni greche e latine e, molto probabilmente,
anche alle civiltà anteriori, come attestano sia l’informazione scientifica trasmessaci da Plinio che le specifiche linguistiche riportate dal Rocci e dal Calonghi.
(57) Il chitón (ital. “chitone”) era «un’antica veste greca a forma di camicia senza maniche, corta per gli uomini e lunga per le donne, stretta alla vita da un cordone e fermata da fibbie sulle spalle» (A. GABRIELLI, Dizionario della lingua italiana, Carlo Signorelli editore, Milano, 1993, p. 402, sub voce “chitóne”).
(58) L. ROCCI, Vocabolario greco-italiano, cit., p. 908, sub voce “hieráchion”. Per l’ambito latino si vedano particolarmente: I. LANA, Vocabolario latino, Paravia, Torino, 1991, p. 1075, sub vocibus “hierācion- hierācium”; CAMPANINI-CARBONI, Nomen: Il nuovissimo vocabolario della lingua latina, Paravia-Bruno Mondadori Editori, Torino, 2002, p. 705, sub vocibus “hierācion- hierācium”.
(59) F. CALONGHI, Dizionario latino-italiano, cit., p. 1253, sub vocibus “hierācion- hierācium”.
(60) GAIO PLINIO SECONDO, Storia Naturale, cit. vol. III (“Botanica”), libri 20-27, p. 39, paragrafo n. 26.
(61) È proprio in virtù dell’efficacia medicamentosa, posseduta dalla pozione di quest’erba selvatica nella prevenzione e cura delle malattie oculari, che i dizionari di lingua greca e latina (si confrontino quelli indicati nelle note n. 57-58), nell’analizzarne la voce, accanto ad un significato tipicamente botanico, assegnano anche quello di “collirio”, citando Galeno e Plinio, come autori antichi che hanno trattato questo particolare preparato oftalmologico.
(62) IBIDEM, vol. V (“Mineralogia e Storia dell’Arte”), libri 33-37, p. 243, paragrafo n. 27.
(63) G. LEOPARDI, La quiete dopo la tempesta, w. 16-18, in D. CONSOLI, Canti di Leopardi, Società Editrice Internazionale, Torino, 1967, p. 278.
(64) Sulla capacità che, nel passato, l’uomo aveva di derivare, da particolari piante o erbe, dei rimedi medicamentosi naturali, con cui riusciva a risanare il proprio corpo, e su come l’utilizzo di queste sostanze vegetali siano state poi soppiantate, in tempi moderni, da preparati farmaceutici artificiali, prodotti grazie al processo di sintesi chimica, si veda A. GALLORO, L’antica spezierìa del Convento domenicano in Soriano. Aspetti di vita civile e religiosa in Calabria nei secoli XVII-XVIII, Edizioni Mapograf, Vibo Valentia, 2001, pp. 15-22.
(65) F. SABATINI-V. COLETTI, DISC: Dizionario linguistico Sabatini-Coletti, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze, 1997, p. 2941, sub voce “vista”.
(66) G. ROHLFS, Scavi linguistici nella Magna Grecia, cit., p. 171, paragrafo n. 29; IDEM, Dizionario dei cognomi e soprannomi in Calabria, cit., p. 60, sub voce “Cállipo”; IDEM, Nuovo dizionario dialettale della Calabria, cit., pp. 115, sub voce “Cáddipu”, e 120 sub vocibus “Cállapu”, “Cállipu”, “Cállupu”; IDEM, Dizionario toponomastico e onomastico della Calabria, cit., p. 39, sub voce “Cállipo”.
Il termine “fruciandolo” (o “frucandolo”), di origine toscana, è un sostantivo che indica un attrezzo che il fornaio adopera nella sua attività di panificatore, cioè il “tirabrace”. Esso deriva dal verbo “frucare”, che è una variante di “frugare”, ma non ne eredita il significato, dato che non ha il senso di “rovistare” o “esaminare attentamente un luogo o una persona, nell’intento di trovare ciò che si cerca”, ma quello di “ripulire a fondo, minuziosamente, con gran cura qualcosa” (F. SABATINI-V. COLETTI, DISC: Dizionario linguistico Sabatini-Coletti, cit., p. 1018, sub voce “frugare”). Per l’uso toscano del verbo “frucare” al posto di “frugare”, si esamini G. ROHLFS, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, Einaudi editore, Torino, 1966, vol. dedicato alla “Fonetica”, pp. 265-266, paragrafo n. 195.
(67) L. ROCCI, Vocabolario greco-italiano, cit., p. 960, sub voce “cálliuntron”;G. ROHLFS, La grecità in Calabria, cit., p. 410; IDEM, Nuovo dizionario dialettale della Calabria, cit., p. 115, sub voce “cáddipu”.
Il Rohlfs, sin dalle sue prime ricerche sull’onomastica calabrese, svolte, in età giovanile, quasi un secolo fa, direttamente sul campo, ha sempre messo in evidenza la stretta relazione esistente tra il nome Cállipo e la parola greca cálliupon per cálliuntron (Greci autoctoni o grecità bizantina?, in “Revue de linguistique romane”, anno IV, n. 13-14, gennaio-giugno 1928, ora anche in B. TOMASINI, La questione delle origini del grecismo calabrese, estratto dalla rivista “Folklore”, anno XIV, n. 1-2, Stabilimento Tipografico “Il Progresso”, Laureana di Borrello [RC], 1930, p.18; G. ROHLFS, La grecità in Calabria, cit., p. 410; IDEM, Griechen und Romanen in Unteritalien, Leo S. Olschki, Ginevra, 1924, p. 98).
(68) IDEM, Scavi linguistici nella Magna Grecia, cit., p. 171, paragrafo n. 29.
(69) IDEM, La grecità in Calabria, cit., p. 410.
(70) Per cáddipu, nel significato di “spazzaforno”, si rinvia a F. SCERBO, Sul
dialetto calabro, Forni editore, Bologna, 1970, p. 82, sub voce “cáddipu” (ristampa anastatica dell’edizione di Firenze, Loescher & Seeber editori, 1886).
(71) Su Jatrinoli, antico casale di S. Martino, della Contea di Terranova, che è stato prima assegnato al costituendo Circondario di Radicena (1841) e poi aggregato al nuovo Comune di Taurianova (RC) (1926), si vedano: G. VALENTE, Il dizionario bibliografico, biografico, geografico, storico della Calabria, cit., vol. IV, p. 28, sub voce “Jatrinoli”; G. ROHLFS, Dizionario toponomastico e onomastico della Calabria, cit., p. 145, sub voce “Jatrinoli”, per il quale la riunificazione con Radicena è avvenuta nel 1928.
(72) Per le varianti del nome cállipu, si consultino le seguenti opere: IDEM, Griechen und Romanen in Unteritalien, cit., p. 98; IDEM, Nuovo dizionario dialettale della Calabria, cit., pp. 115, sub voce “Càddipu”, e 120 sub vocibus “Cállapu”, “Cállipu”, “Cállupu”;IDEM, Dizionario dei cognomi e soprannomi in Calabria, cit., p. 60, sub voce “Cállipo”; IDEM, Dizionario toponomastico e onomastico della Calabria, cit., p. 39, sub voce “Cállipo”.
(73) G. B. MARZANO, Dizionario etimologico del dialetto calabrese, Stabilimento Tipografico “Il Progresso”, Laureana di Borrello (RC), 1928, pp. 70, sub voce “Cáddipu”, e 75, sub voce “Cállipu”.
Il Marzano, inoltre (p. 70), riporta una piccola strofa di un canto popolare calabrese, con la relativa traduzione italiana, dove compare il termine di cui qui si sta discutendo: «E cui pigghiau la pala e cui lu sirti,/ cui facci cu lu cáddipu tingía = “E chi ha preso la pala e chi il sirti,/ chi col fruciandolo tingeva i volti”».
Chiariamo ai lettori, perché possano avere una più agevole comprensione del testo sopra riportato, che alcune popolazioni della Calabria centro-meridionale chiamano ancora oggi sirti il “rastrello da fuoco” o “tirabrace”, che consiste in un lungo ferro ricurvo, di cui si serve il fornaio per togliere la brace dal suo forno a legna. La dizione sirti si trasforma in sirtu a Vibo Valentia, Briatico, Polia, Polia, Maierato (G. ROHLFS, Scavi linguistici della Magna Grecia, cit., p. 47, vox n. 127).
(74) Per gli esempi sopra addotti, al di là dell’ideazione personale, ci siamo anche avvalsi di quanto riportato in A. GABRIELLI, Dizionario della lingua italiana, cit., pp. 376, sub voce “cazzuola”, e 2394, sub voce “violino”; F. SABATINI-V. COLETTI, DISC: Dizionario linguistico Sabatini-Coletti, cit., p. 2936, sub voce “violino”; G. DEVOTO-G. C. OLI, Il dizionario della lingua italiana, Casa Editrice Felice Le Monnier, Firenze, 2000, p. 1212, “manico”. Per i testi di Grammatica italiana, valga per tutti M. SENSINI, L’Italiano da sapere, A. Mondadori Scuola, Milano, 2009, p. 604, sub voce “metonìmia”.
(75) S. MELE, L’ellenismo nei dialetti della Calabria Media, cit., p. 12, sub voce “Cállipo”.
(76) L. ROCCI, Vocabolario greco-italiano, cit., pp. 959, sub voce “cállipon”, e 989, sub voce “cataleípo”.
(77) G. ALESSIO, Saggio di toponomastica calabrese, Leo S. Olschki editore, Firenze, 1939, p. 173, vox n. 1770b.
(78) L. ROCCI, Vocabolario greco-italiano, cit., p. 960, sub voce “cálliuntron”.
(79)-G. ALESSIO, Saggio di toponomastica calabrese, cit., p. 173, vox n. 1770; IDEM, Sopravvivenze classiche nei dialetti calabresi, cit., p. 81.
(80) Per l’opera di G. BARRIO, (De antiquitate et situ Calabriae, Presso Giuseppe De Angelis, Roma, 1571), si veda l’edizione in lingua italiana curata da E. A. MANCUSO, Antichità e luoghi della Calabria di Gabriele Barrio, edizioni Brenner, Cosenza, 1979, p. 409.
(81) G. MARAFIOTI, Croniche et antichità di Calabria, “Ad instanza de gl’Uniti”, Padova, 1601, p. 146 (ora anche in edizione fotostatica, Arnaldo Forni, Sala Bolognese [Bologna], 1975).
(82) A. GUILLOU, Le Brébion de la Métropole Byzantine de Règion (vers 1050), cit., p. 39, inclusa la nota n. 4, in cui lo Studioso francese, seguendo le orme del Barrio, ritiene, erroneamente, che, nei tempi passati, il fiume fosse navigabile.
(83) G. ALESSIO, Sopravvivenze classiche nei dialetti calabresi, cit., p. 81. G. ROHLFS (Dizionario toponomastico e onomastico della Calabria, cit., p. 122, sub voce “Gallíporo”), oltre a ricordarci questa dizione volgare del corso d’acqua, sottolinea che oggi può anche essere chiamato “Gallíporo” e che «corrisponde all’antico fiume Elleporos».
(84) F. TRINCHERA, Syllabus graecarum membranarum, cit., documento n. 277 dell’anno 1227 (p. 381) e documento n. 306 del 1267 (p. 439).
(85) G. ROHLFS, Scavi linguistici nella Magna Grecia, cit., p. 178; A. PELLEGRINI, Il dialetto greco-calabro di Bova, cit., p. 173, sub voce “halipó-ghalipó”; G. CARACAUSI (a cura di), Testi neogreci di Calabria. Indice lessicale, cit., p. 359, sub voce “rovo”.
(86) G. ALESSIO, Calchi linguistici greco-latini nell’antico territorio della Magna Grecia, cit., p. 239, nota n.1.
(87) G. ROHLFS, Dizionario toponomastico e onomastico della Calabria, cit., pp. 39, sub vocibus “Calipó” e “Calipù”, e138, sub voce “h.alipó”.
(88) IVI, sub vocibus “Calipía-Callipía” ed “H.alipá” e “H.alipía”.
(89) IVI, sub vocibus “Calípari” ed“H.alípari”.
(90) IVI, sub vocibus Calipusa” ed“H.alipusa”.
(91) IVI, sub voce “Calipó”.
(92) L. ROCCI, Vocabolario greco-italiano, cit., p. 959, sub voce “Kallípolis”.
(93) G. ROHLFS, Scavi linguistici nella Magna Grecia, cit., p. 190; P. ORSI, Le Chiese basiliane della Calabria, Vallecchi editore, Firenze, 1929, p. 195.
(94) L. ROCCI, Vocabolario greco-italiano, cit., p. 959, sub voce “Cállippos”.
(95) IBIDEM, p. 961, sub voce “calós”, nell’accezione n. 3.
B I B L I O G R A F I A
(1)-ACCATTATIS L., Le biografie degli uomini illustri delle Calabrie, Dalla Tipografia Municipale, Cosenza, 1869-1877 (ora anche in edizione anastatica, curata dall’editore A. Forni, Sala Bolognese [BO], 1977, vol. II.
(2)-ALESSIO G., Saggio di toponomastica calabrese, Leo S. Olschki editore, Firenze, 1939.
(3)-ALESSIO G., Calchi linguistici greco-latini nell’antico territorio della Magna Gre, dal punto di vista onomastico,cia, in “Atti dell’VIII Congresso Internazionale di Studi Bizantini” (Palermo: 3-10 aprile 1951), Associazione Nazionale per gli Studi Bizantini, Roma, Tipografia Pio X, 1953.
(4)-ALESSIO G., La stratificazione linguistica del Bruzio, in “Atti del I Congresso Storico Calabrese” (Cosenza, 1954), Collezione Meridionale Editrice, Roma, 1957, pp. 305-355.
(5)-ALESSIO G., Postille al Dizionario Etimologico Italiano, Università degli Studi di Napoli (Istituto di Glottologia-Quaderni Linguistici 3 e 4), Officine Grafiche Meridionali, Roma, 1957-1958.
(6)-ALESSIO G., I dialetti della Calabria, in “Almanacco Calabrese”, anno XIV (1964), n. 14, pp. 17-48.
(7)-ALESSIO G., Il prestito linguistico, Liguori editore, Napoli, 1973.
(8)-ALESSIO G., Sopravvivenze classiche nei dialetti calabresi, in Brettii, Greci e Romani, “Atti del V Congresso Storico Calabrese” (Cosenza-Vibo Valentia-Reggio Calabria: 28-31 ottobre 1973), Arti Grafiche F.lli Palombi, Roma, 1983, pp. 69-237.
(9)-ALESSIO G., Lexicon Etymologicum (Supplemento ai dizionari etimologici latini e romanzi), Arte Tipografica editrice, Napoli, 1976.
(10)-ALESSIO G., Grecità e romanità nell’Italia Meridionale, in “Italia linguistica nuova ed antica”, Conge1do editore, Galatina (Lecce), 1978, vol. II, pp. 69-113.
(11)-BARILLARO E., Dizionario bibliografico e toponomastico della Calabria vol. III (Provincia di Reggio Calabria), Pellegrini editore, Cosenza, 1976.
(12)-BARRIO G., De antiquitate et situ Calabriae, “In Aedibus Pop. Rom.”, Roma, 1571. Il testo da noi consultato è la traduzione in lingua italiana di Erasmo A. Mancuso, Antichità e luoghi della Calabria di Gabriele Barrio, edizioni Brenner, Cosenza, 1979.
(13)-BATTISTI C., Ancora sulla grecità in Calabria, in “Archivio Storico per la Calabria e la Lucania”, anno III (1933), pp. 67-95.
(14)-BATTISTI C.-ALESSIO G., Dizionario etimologico italiano, vol. I, Barbèra editore, Firenze, 1950.
(15)-CALONGHI F., Dizionario latino-italiano, Rosenberg & Sellier editori, Torino, 1990.
(16)-CAMPANINI-CARBONI, Nomen: Il nuovissimo vocabolario della lingua latina, Paravia-Bruno Mondadori Editori, Torino, 2002.
(17)-CAPIALBI V., Gugliemo Cardinal Sirleto, in “Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli”, curata da Agostino Gervasi, Napoli, 1820-1828.
(18)-CAPIALBI V., Diploma graecum aerae vulg. ann. MCLIV, ex autographo membraneo domesticae bibliotechae Vitus Capialbus eruit, edidit notisque illustravit, Tipografia Gabriele Porcelli, Napoli, 1836.
(19)-CAPIALBI V., Memorie delle Tipografie Calabresi (…), 2a ediz. a cura di C. F. Crispo, Arti Grafiche Aldo Chicca, Tivoli, 1941 (1a ediz. Napoli, Tipografia Porcelli, 1835).
(20)-CARACAUSI G. (a cura di), Testi neogreci di Calabria. Indice lessicale, Luxograph, Palermo, 1979.
(21)-CARACAUSI G., Stratificazione della toponomastica calabrese, in “Calabria Bizantina” (“Istituzioni civili e topografia storica”), Gangemi editore, Roma-Reggio Calabria, 1986, pp. 131-162.
(22)-CONSOLI D. (a cura di), Canti di Giacomo Leopardi, Società Editrice Internazionale, Torino, 1967.
(23)-CUNSOLO L., La storia di Stilo e del suo regio demanio (dal secolo VII ai nostri giorni), Gangemi editore, Roma-Reggio Calabria, 1987, (1a edizione a cura del Comune di Stilo [RC], Stabilimento Tipografico A. Staderini, Roma, 1965).
(24)-DE LEO P. (a cura di), La Platea di S. Stefano del Bosco: vol. I, Rubbettino editore, Soveria Mannelli (CZ), 1997; vol. II, Rubbettino editore, Soveria Mannelli (CZ), 1998.
(25)-DEVOTO G.-OLI G. C., Il dizionario della lingua italiana, Casa Editrice Felice Le Monnier, Firenze, 2000.
(26)-GABRIELLI A., Dizionario della lingua italiana, Carlo Signorelli editore, Milano, 1993.
(27)-GALLORO A., L’antica spezierìa del Convento domenicano in Soriano. Aspetti di vita civile e religiosa in Calabria nei secoli XVII-XVIII, Edizioni Mapograf, Vibo Valentia, 2001.
(28)-GUILLOU A., Le Brébion de la Métropole Byzantine de Règion (vers 1050), Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano, 1974.
(29)-GUILLOU A., Nomi, cognomi e soprannomi nella Calabria Bizantina, in “Calabria Bizantina” (“Istituzioni civili e topografia storica”), Gangemi editore, Roma-Reggio Calabria, 1986, pp. 121-130.
(30)-LANA I., Vocabolario latino, Paravia, Torino, 1991.
(31)-MARAFIOTI G., Croniche et antichità di Calabria, “Ad instanza de gl’Uniti”, Padova, 1601.
(32)-MARZANO G. B., Dizionario etimologico del dialetto calabrese, Laureana di Borrello, Stabilimento Tipografico “Il Progresso”, Laureana di Borrello (RC), 1928 (ora anche in edizione anastatica, Arnaldo Forni editore, Sala Bolognese [BO], 1980).
(33)-MARZOTTI A., Di alcune fonti calabresi del Cinquecento, in “Incontri Meridionali”, n. 3-4, 1978, pp. 121-159.
(34)-MELE S., L’Ellenismo nei dialetti della Calabria Media, Tipografia Francesco Raho, Monteleone, 1891 (ora anche in edizione anastatica, Forni, Bologna, 1970).
(35)-MOSINO F., Tracce di bilinguismo nell’onomastica calabrese, in “Civiltà di Calabria”, Edizioni Effe Emme, Chiaravalle Centrale (CZ), 1976, pp. 297-300.
(36)-MOSINO F., Note e ricerche linguistiche, Edizioni di “Historica”, Reggio Calabria, 1977.
(37)-MOSINO F., Rohlfs e i Calabresi, in “Calabria Sconosciuta”, anno III (1980), n. 9, pp. 13-15.
(38)-MOSINO F., Le origini del volgare in Calabria, Edizioni di ”Historica”, Reggio Calabria, 1981.
(39)-MOSINO F., Testi calabresi antichi (sec. XV), Edizioni Brenner, Cosenza, 1983.
(40)-MOSINO F., I materiali onomastici nella Grande Platea della Certosa di S. Stefano del Bosco (1532-1534), in “Archivio storico per la Calabria e la Lucania”, anno L (1983), pp. 125-256; anno LI (1984), pp. 139- 269.
(41)-MOSINO F., GLossario del calabrese antico (sec. XV), Longo Editore, Ravenna, 1985.
(42)-MOSINO F., La Grande Platea di S. Stefano del Bosco, in “Calabria Bizantina” (“Istituzioni civili e topografia storica”), Gangemi editore, Roma-Reggio Calabria, 1986, pp. 163-201.
(43)-MOSINO F. Storia linguistica della Calabria, Marra Editore, Cosenza, 1987, voll. I e II.
(44)-MOSINO F., Dal greco antico al greco moderno in Calabria e in Basilicata, Giuseppe Pontari Editore, Reggio Calabria, 1995.
(45)-ORSI P., Le Chiese basiliane della Calabria, Vallecchi editore, Firenze, 1929.
(46)-PELLEGRINI A., Il dialetto greco-calabro di Bova, Forni editore, Bologna, 1970 (ristampa anastatica dell’edizione di Torino, 1880).
(47)-PLINIO GAIO SECONDO, Storia Naturale (edizione italiana diretta da G. B. Conte), Giulio Einaudi editore, Torino,1982-1988: vol. III (“Botanica”), libri 20-27; vol. V (“Mineralogia e Storia dell’Arte”), libri 33-37.
(48)-PRINCIPE I., La Certosa di S. Stefano del Bosco a Serra S. Bruno. Fonti e documenti per la storia di un territorio calabrese, Edizioni Frama Sud, Chiaravalle Centrale (CZ), 1980.
(49)-RAFFAELE F., Le platee manoscritte della Certosa di Serra S. Bruno, in “Klearchos”, anno IV (1962), n. 15-16, luglio-dicembre 1962, pp. 91-98.
(50) RAMOUS M. (a cura di), Le Metamorfosi (di Publio Ovidio Nasone), Garzanti, Milano, 1995 (voll. 2).
(51)-ROCCI L., Vocabolario greco-italiano, Società Editrice Dante Alighieri, Città di Castello (PG), 2002.
(52)-ROHLFS G., Griechen und Romanen in Unteritalien, Leo S. Olschki, Ginevra, 1924.
(53)-ROHLFS G., Greci autoctoni o grecità bizantina?, in “Revue de linguistique romane”, anno IV, n. 13-14, gennaio-giugno 1928 (ora anche in B. Tomasini, La questione delle origini del grecismo calabrese, estratto dalla rivista “Folklore”, anno XIV, n. 1-2, Stabilimento Tipografico “Il Progresso”, Laureana di Borrello [RC], 1930, pp. 1-40).
(54)-ROHLFS G., La grecità in Calabria, in “Archivio storico per la Calabria e la Lucania”, anno II, 1932, pp. 405-425 (ora anche in edizione anastatica, Barbaro editore, Oppido Mamertina [RC], 1995).
(55)-ROHLFS G., All’origine dei cognomi, in “Almanacco Calabrese”, anno X (1960), n. 10.
(56)-ROHLFS G., Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, Einaudi editore, Torino, 1966, vol. dedicato alla “Fonetica”.
(57)-ROHLFS G., Scavi linguistici nella Magna Grecia, Congedo editore, Galatina (Lecce), 1974 (1a edizione Collezione Meridionale Editrice, Roma, 1933).
(58)-ROHLFS G., Toponimi da patronimici in Calabria (Il tipo “Stefanáconi”), in “Civiltà di Calabria”, Edizioni Effe Emme, Chiaravalle Centrale (CZ), 1976, pp. 421-426.
(59)-ROHLFS G., Nuovo dizionario dialettale della Calabria, Longo editore, Ravenna, 1977.
(60)-ROHLFS G., Dizionario dei cognomi e soprannomi in Calabria, Longo editore, Ravenna, 1979.
(61)-ROHLFS G., Calabria e Salento. Saggi di storia linguistica. Studi e ricerche, Longo editore, Ravenna, 1980.
(62)-ROHLFS G., Dizionario toponomastico e onomastico della Calabria, Longo editore, Ravenna, 1990 (1a edizione, Longo, Ravenna, 1974).
(63)-RUSSO F., Regesto Vaticano per la Calabria: vol. IV, Gesualdi editore, Roma, 1978; vol. VII, Gesualdi editore, Roma, 1983; vol. VIII, Gesualdi editore, Roma, 1985; vol. IX, Gesualdi editore, Roma, 1986.
(64)-SABATINI F.-COLETTI V., DISC: Dizionario linguistico Sabatini-Coletti, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze, 1997.
(65)-SCALISE G. B.,“Nota conclusiva” del Syllabus graecarum membranarum di F. Trinchera, Vincenzo Ursini editore, Catanzaro, 2000 (ristampa anastatica dell’edizione di Napoli, Tipografia Giuseppe Cataneo, 1865).
(66)-SCERBO F., Sul dialetto calabro, Forni editore, Bologna, 1970 (ristampa anastatica dell’edizione di Firenze, Loescher & Seeber editori,1886).
(67)-SENSINI M., L’Italiano da sapere (testo di Grammatica italiana), A. Mondadori Scuola, Milano, 2009.
(68)-TOMASINI B. (a cura di), La questione delle origini del grecismo calabrese di G. Rohlfs, in “Folklore”, anno XIV (1930), n. 1-2, Stabilimento Tipografico “Il Progresso”, Laureana di Borrello (RC), 1930, pp. 1-40.
(69)-TRINCHERA F., Syllabus graecarum membranarum, Tipografia Giuseppe Cataneo, Napoli, 1865 (ora anche in edizione anastatica, Forni, Sala Bolognese (BO), 1978.
(70)-VALENTE G., Il dizionario bibliografico, biografico, geografico, storico della Calabria, Edizioni Geometra, Cosenza, 2005, vol. III.
(71)-VENDOLA D., Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV: Apulia, Lucania, Calabria, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1939.
I N D I C E
Introduzione
Cap. I: Classificazione tipologica di alcuni cognomi calabresi
Cap. II: Brevi note di commento alla classificazione dei cognomi
Cap. III: La perdita dell’identità storico-geografica dei cognomi
nella società moderna
Cap. IV: L’origine storico-linguistica del cognome Ieracitano
Cap. V: Il cognome Ieracitano potrebbe appartenere alla
categoria dei nomi prediali?
Cap. VI: Altre possibili ipotesi sull’origine storico-linguistica
del cognome Ieracitano e su suoi nuovi significati
Cap. VII: L’origine storico-linguistica del cognome Cállipo
Cap. VIII: Altre possibili ipotesi sull’origine storico-linguistica
del cognome Cállipo e su suoi nuovi significati34
Bibliografia
Indice
Proprietà letteraria riservata di tutti i diritti all’Autore
San Nicola da Crissa (VV), aprile-maggio 2010
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